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Il numero di luglio '04

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Gli articoli
Nei prossimi mesi ...
Ristrutturazione del sistema produttivo

Bticino: Premio di Risultato  raggiunti tutti gli obiettivi

Uno sguardo ad est
Progetto "Carianca 2000"
Assegni familiari: tabelle
La "Sirena" riprende a cantare (Inserto La Sirena)
Legge Biagi: un decollo difficile (Inserto La Sirena)
Stoccarda: grande manifestazione (Inserto La Sirena)
Clusone: campo scuola regionale di

 

Nei prossimi mesi ...

Mese di luglio, seppur ormai con la testa in ferie, ci sembra giusto fare il punto della situazione sui temi aperti e sui problemi che ci attendono. Siamo alla vigilia di una stagione importante e decisiva per le sorti del sindacalismo nella nostra categoria. Già dalle prossime settimane la Fim sarà impegnata su più fronti.

L'ultimo anno ha visto uno sfibrante confronto sulla riforma delle pensioni che si è chiuso per la prima volta nel nostro paese senza un accordo, una piattaforma unitaria inascoltata e che non ha dato alcun risultato nonostante due scioperi generali unitari. Ci paiono tutti fatti che non possono essere sottovalutati.

E' chiaro che la posta in gioco è il ruolo del sindacato. Sarebbe negativo e pericoloso lasciar correre questa fase rimanendo in attesa di tempi migliori e si pone l'esigenza di una riflessione sull'adeguatezza dell'iniziativa confederale. La storia recente insegna che pensare di "trovare soluzioni a colpi di scioperi generali" non porta risultati. Sono necessarie proposte in grado di "scaldare i cuori" ma soprattutto di giocare in anticipo e in grado di dare risposte ai temi della politica economica ed il sostegno allo sviluppo industriale .

E' urgente una ripresa di azione forte da parte di Cgil Cisl e Uil.

Proprio la mancanza dello sviluppo industriale sta influenzando pesantemente la situazione di molte aziende. E' iniziata la stagione della contrattazione aziendale ma, le trattative non partano e anche quando partono, trovano grosse difficoltà ad avanzare. Molti sono ancora i casi di aziende in difficoltà che utilizzano tale situazione per impedire o rinviare con soluzioni ponte il rinnovo dei contratti aziendali, ma forse la responsabilità è anche da imputarsi ad un impostazione contrattuale che non tiene conto della situazione. Così come pesa la difficoltà di rapporti unitari all'interno della categoria, con la Fiom che tende ad impegnare la discussione quasi esclusivamente su alcune parole d'ordine (incidenza degli aumenti, mensilizzazione dei Pdr, contrasto alla legge 30, regole democratiche e referendum), cercando uno sbocco alla fallimentare stagione dei pre-contratti.

Le promesse della Fiom di riuscire a fare un contratto migliore attraverso la strada dei precontratti si è dimostrata sbagliata e inconcludente; nonostante le decine di ore di sciopero fatte i precontratti realizzati sono stati pochissimi e centinaia di migliaia di lavoratori hanno avuto come unico strumento di tutela negli ultimi quattro anni il contratto fatto da Fim e Ulim.

Ciò credo che dimostri inequivocabilmente due fatti:

- non è detto che basta fare tanti scioperi per fare un contratto migliore (è sempre più vero che il contratto si può anche non fare);

- occorre arrivare alla definizione di un sistema di regole condivise da tutti che eviti quanto avvenuto in questi ultimi anni.

La Fiom ha puntato tutto per dimostrare che era possibile fare un contratto migliore e non ci è riuscita, ma ha anche tentato di dimostrare che lei (la Fiom) era l'unico sindacato dei metalmeccanici e anche questo non gli è riuscito. I dati di chiusura del tesseramento 2003 evidenziano un leggero calo di iscritti in tutte le organizzazioni (Fim, Fiom e Uilm) frutto più della crisi economica che del dissenso alle scelte delle organizzazioni anzi, il problema che si evidenzia sempre più e che di fronte a posizioni diverse i lavoratori non si scelgono chiedendo invece il ritorno all'unità.

Il tema dell'unità ritorna quindi in primo piano anche perché siamo a pochi mesi dall'avvio del rinnovo del Contratto Nazionale (parte economica).Ma l'unità, per quanto detto, può essere realizzata solo se si riesce a definire un sistema di regole che poi devono essere rispettate. Tentare di scaricare le responsabilità della mancanza di unità alla differenti valutazioni, pensieri, posizioni politiche è un'idiozia storica.

Le differenze tra le organizzazioni sindacali (ma anche all'interno delle singole organizzazioni) ci sono sempre state e sempre ci saranno e sono proprio le differenze che portano alla crescita collettiva comune. Senza le differenze di opinioni, tutto il dibattito ne uscirebbe indebolito. Le differenze sono la linfa della democrazia. Il problema sono le volontà per consentire la definizione di regole (autonome e condivise) che garantiscano di portare a sintesi le differenze e costruire le proposte.

Le regole ci sono e se non sono adeguate si possono cambiare, ma occorrono le volontà e il rispetto reciproco, partendo dall'accettazione del pluralismo sindacale.

Ma nuove regole è possibile definirle solo se si chiarisce qual è il modello di democrazia su cui lo si vuole fondare. Il meccanismo della democrazia referendaria non ci sembra quello più adeguato perché, come i fatti anno dimostrato, non basta non essere d'accordo (o bocciare) un'intesa per poterne fare una migliore. Ma non siamo d'accordo soprattutto perché il referendum finisce per delegittimare (e rendere quindi privi di ruolo) le Rsu, scaricando le eventuali difficoltà delle trattative ai lavoratori che, proprio perché non vi hanno partecipato, non sono nelle migliori condizioni di poter decidere. Sarebbe una resa dei conti continua influenzata più che dai contenuti da chi è presente (e sappiamo come sia facile defilarsi nelle assemblee).

A nostro avviso lo strumento del referendum di mandato, esercitato prima di arrivare a eventuali ipotesi conclusive, è quello che meglio permette di coinvolgere i lavoratori evitando rese dei conti tra sindacati e tra lavoratori

Su base nazionale questo significa riprendere l'ipotesi della assemblea nazionale dei delegati già proposta nello scorso contratto. Chi ha altre proposte si faccia avanti.

Infine, vi è la parte normativa del contratto nazionale firmato lo scorso anno da completare.

Abbiamo preso atto con soddisfazione che per quanto riguarda la formazione continua si sia arrivati ad una accordo unitario (Fim-Fiom-Uilm) e su questo capitolo ora si tratta di far funzionare le commissioni provinciali (a Varese costituita in questi giorni).

Così come apprezziamo che sui temi della legge 30 si stia lavorando. Su tale questione va raggiunto l'obiettivo di definire una percentuale unica massima per l'utilizzo dei contratti atipici. La percentuale unica dovrà essere di sito produttivo. E' presumibile che dalla percentuale unica vadano esclusi i casi di part time (anche perché l'utilizzo del part time va ampliato), lavoro ripartito, contratti apprendistato.

Infine sulla riforma dell'inquadramento professionale. Purtroppo siamo di fronte ad un atteggiamento ancora reticente che non ha consentito di realizzare le ipotesi di riforma. Siamo ancora in attesa di proposte da parte di Federmeccanica. E' giusto dare alla Fiom in futuro una possibilità di rientro (anche perché è una grossa opportunità da non perdere). Non è giusto però e la Fim non può accettare di aspettare solo quella occasione. Occorre nei prossimi mesi un avanzamento concreto dei lavori della commissione. 

Il prossimo biennio

Non c'è dubbio infine che il vero appuntamento altamente simbolico di questa seconda parte del 2004 sarà la vertenza per il rinnovo del secondo biennio contrattuale.

Sarà un appuntamento carico di significati e di tanti sbocchi possibili.

La Fim ha il vantaggio di poterlo interpretare anche come un normale appuntamento negoziale in linea con i due precedenti rinnovi del 2001 e del 2003.

Tra i possibili scenari non manca, anche se forse non è né il più probabile né il più auspicabile, quella della riforma del modello contrattuale. Non si sa ancora se e quando ci saranno le condizioni per affrontare la materia.

E' tuttavia presumibile che il non rinnovo del contratto dei metalmeccanici, perché questa volta Federmeccanica potrebbe essere indisponibile a discutere 3 piattaforme o per altre difficoltà oggettive, può essere un fattore che induce le parti ad affrontare la riforma.

Se questo è uno scenario possibile è bene che la Fim se ne faccia un'idea e lo controlli con cura evitando di lasciare ad altri le scelte finali.

Non c'è dubbio che tutti però vorranno verificare se questo appuntamento potrà far tornare i metalmeccanici ad una contrattazione con soluzioni unitarie. Anche i nostri iscritti, delegati ed operatori ci interrogheranno su ciò.

E' presto poter dire cosa sarà possibile. E' presto anche poter parlare di cifre o di piattaforme. Non c'è dubbio che dovrà essere una occasione profonda per interrogarsi sulla politica salariale, su come sostenere il potere d'acquisto dei salari e dare risposte alle aspettative dei lavoratori.

Per la Fim l'inflazione programmata non è più, già da due rinnovi, un vincolo. Non è possibile tornare ad una contrattazione che punti sul salario come variabile indipendente.

Sono la contrattazione territoriale e la riforma dell'inquadramento i due nuovi strumenti che permetteranno di recuperare salario per i lavoratori.

Oggi però la principale possibilità di poter tentare un approccio unitario sul contratto sta nelle mani della Fiom. E' dalle scelte del congresso che avremo indicazioni su quale anima sarà in definitiva quella che sa imporre l'ultima parola.

Fino ad oggi la Fiom ha saputo mettere le cose in modo tale da impedire a se stessa e ad altri di tentare mediazioni unitarie. Se la Fiom deciderà di tenere duro, la Fim sa già cosa fare, senza timore.

Se sarà ancora così dovremo aspettarci una Fiom pronta a rivendicare, accanto al salario, modifiche significative dell'intesa sulla parte normativa del 7 maggio 2003.

Se la Fiom vorrà invece cercare una via d'uscita, potremo fare altre considerazioni.

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I problemi non sono risolvibili con estemporanei colpi di bacchetta magica

Profonda ristrutturazione del sistema produttivo

Negli ultimi anni ci hanno raccontato che tutto andava bene. Se poi qualcosa andava male era da attribuirsi ai problemi (economici e non) insorti nel contesto internazionale. Usciti dal sogno del "miracolo" ci siamo trovati nell'incubo di un Paese che non va e nonostante l'economia internazionale cominci a marciare!

Come uscirne? Il senso comune suggerisce che non ci sono risposte semplici a problemi complessi. Da qualche settimana sembra invece che la nuova moda del Paese sia la ricerca dell'idea per scuotere l'economia italiana dal torpore in cui ristagna. Si parla appunto di "scossa" probabilmente mal interpretando l'esortazione del Presidente della Repubblica. Fra queste brilla l'idea della soppressione di alcune festività per rilanciare la produzione. Il dibattito che ne è scaturito ha finito per intrecciarsi con quello aperto da Merli Brandini su "Conquiste" a proposito dell'orario di lavoro.

Nel frattempo altre "scosse" e di ancor maggior portata (vedi riduzione tasse) sembrano focalizzare l'interesse dei commentatori.

E ciò è profondamente sbagliato a prescindere dai contenuti, per altro scarsi, delle varie proposte. Il problema non sono i singoli "alberi" ma il "bosco" che formano. Ed il bosco è un Paese che vive un inesorabile declino industriale se è vero, come è vero, che in questo momento si rischia di perdere il treno del ciclo espansivo in atto a livello internazionale.

I recenti dati sulle esportazioni italiane non lasciano dubbi in proposito. Ciò vuol dire che il nostro sistema produttivo non è in grado di adeguarsi all'evoluzione che contraddistingue la domanda globale. In particolare la situazione appare assai difficile in termini di competitività dove arretriamo rispetto ai Paesi concorrenti e subiamo la "pressione" di quelli di nuova industrializzazione. Ma ciò è dipeso in primo luogo dai mercati dove abbiamo scelto o siamo stati costretti a collocarci a causa di quello che Gallino chiama "la scomparsa dell'Italia industriale".

Non ci sono soluzioni congiunturali a problemi strutturali. Stiamo parlando della necessità di una profonda ristrutturazione del sistema produttivo che, tra l'altro, non può prescindere dagli assetti proprietari in grado di sostenerla. (Ma allora entra in gioco anche il settore del credito).

Questa è la dimensione dei problemi che abbiamo di fronte, che non sono certo risolvibili con estemporanei colpi di un'improbabile bacchetta magica.

Più in generale ed in termini macroeconomici il problema è quello della crescita.

Ma di tale problema finora abbiamo delineato solo il lato dell'offerta. Sappiamo anche che c'è un problema di domanda, ossia l'incapacità dei sistemi economici di generare una domanda aggregata in grado di sostenere le potenzialità di sviluppo dei sistemi stessi. Alla base di ciò c'è la sperequata distribuzione del reddito che caratterizza le nostre società.

Su questo punto il sindacato può giocare un ruolo fondamentale. L'importante è che il conflitto distributivo non prescinda dall'obiettivo di migliorare costantemente la qualità del lavoro da cui dipende la capacità della sua remunerazione. Se così fosse gli obiettivi sindacali diventano interesse generale, ossia una distribuzione del reddito più equa che inglobi l'obiettivo di una nuova qualità dello sviluppo (a partire da una sua risorsa fondamentale: il lavoro) che permetta al sistema Italia di competere sui mercati internazionali.

Detto di imprese e sindacati rimane il Governo. Su entrambi i versanti, quello dell'offerta e della domanda, può fare molto.

Sul primo versante serve una politica industriale in grado di accompagnare l'iniziativa privata. Politica industriale significa in primo luogo compiere scelte riguardo ai settori da sostenere o viceversa da abbandonare. L'elemento fondamentale sono "gli incentivi ed il contesto che li determina.

Se le imprese hanno ritardato nel riqualificare le loro produzioni verso i segmenti alti della specializzazione produttiva, se non sono state spinte a crescere, se i maggiori gruppi industriali hanno preferito ritrarsi dai loro settori di origine, è perché tutto ciò è risultato "conveniente" (Nardozzi G., Miracolo e declino, 2004 - un testo che, in una prospettiva storico-economica, chiarisce in modo assai convincente l'attuale situazione del sistema industriale italiano).

Sul secondo versante, servono sostegni alla domanda soprattutto nella fase iniziale della necessaria ristrutturazione del sistema produttivo, che normalmente genera impulsi recessivi.

In questo ambito il sostegno dei consumi è fondamentale e può anche passare tramite riduzioni del carico fiscale. Ma in questo caso il calo della pressione fiscale opera dal lato della domanda e quindi riguarda le fasce sociali meno abbienti, cioè quelle con maggior propensione al consumo in rapporto al proprio reddito. Ma la politica fiscale del Governo, (che non possiamo analizzare per mancanza di spazio), come esplicitamente ammesso nei documenti di politica economica da esso elaborati, vuole operare viceversa dal lato dell'offerta (il suo obiettivo è l'incremento del reddito potenziale) e quindi tende a favorire le classi sociali più ricche.

Questa impostazione è stata ribadita, tanto per fare un esempio recente, nell'analisi sulle "cose da fare" che il Ministro Tremonti ha scritto sul Il Sole 24 Ore (13.04.04). Un'ampia pagina di giornale ancora una volta piena di alibi (sulle difficoltà della situazione italiana) di sogni (di come tale situazione potrebbe positivamente evolversi) e di scorciatoie tanto banali quanto improbabili (nell'inseguire quei sogni).

Al contrario, se si prende atto della necessità di un'ampia riconversione produttiva del nostro Paese "l'azione pubblica non deve rallentarlo con palliativi, semmai deve affrettarne il compimento, sicuramente deve assisterlo.

Una politica volta alla difesa "colbertista" di posizioni alla lunga non tenibili della specializzazione della nostra industria nel commercio internazionale va in direzione opposta, così come l'allentamento del rigore del fisco o qualsiasi altra azione diretta in qualche modo a creare "compensazioni" domestiche alla perdita di competitività internazionale.

I protezionismi diventano più attraenti proprio quando le imprese necessitano di stimoli. Invece di protezione lo Stato dovrebbe offrire sostegno".

Pensando alla politica economica del Governo vengono alla mente le parole di Tarantelli: "viaggiare di bolina anche se il vento è di lasco". Tradotto per i non marinai: fare il contrario di ciò che serve!

Alberto Berrini

consulente economico Fiba Cisl nazionale

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Premio di Risultato Bticino anno 2003

Raggiunti tutti gli obiettivi

La Bticino è un'azienda leader nel settore delle apparecchiature elettriche, fa parte del gruppo LeGrand, la sede principale per l'Italia è Varese dove conta oltre 1000 dipendenti.

L'accordo sul Premio di Risultato ha fruttato bene negli ultimi anni, pur non raggiungendo mai il 100% degli indici. L'anno 2003 è stato invece un anno particolarmente florido.

Dopo la solita rincorsa di inizio anno per evadere le commesse, situazione presente tutti gli anni, l'ultimo trimestre che generalmente vedeva le vendite in calo, ci ha visti invece protagonisti di uno sprint finale.

Il 2003 è stato quindi un anno eccezionale e i risultati si sono visti.

Le lavoratrici e i lavoratori hanno saputo dare una risposta positiva al trend di produzione riuscendo ad assicurare il raggiungimento dell'obiettivo completo (euro 1.678 pari a £. 3.250.000).

Il nostro P. d. R. è strutturato su quattro indici e più precisamente:

- servizio al cliente (incidenza 20%);

- qualità (incidenza 20%);

- produttività (incidenza 30%);

- redditività (incidenza 30%).

Il premio può variare in relazione al grado di raggiungimento dell'obiettivo. Nel caso in cui gli indicatori di produttività, qualità e servizio al cliente non vengono completamente raggiunti ma contestualmente l'indice di redditività supera il 20% del fatturato realizzato, viene recuperato il 50% delle quote premio non conseguite per ciascun indice.

Una volta definito il premio viene ricalcolato in base all'assenteismo individuale, con una scala che va da un minimo del 70% ad un massimo del 130%.

Unico aspetto negativo è stata la decisione aziendale di conteggiare come assenteismo anche gli scioperi.

E' la prima volta che si verifica tale fatto poiché negli anni precedenti l'azienda aveva sempre accettato la richiesta sindacale di "sorvolare" sulla questione e, anche se lo scorso anno aveva dichiarato che sarebbe stato l'ultimo, le speranze dei lavoratori e RSU erano che anche quest'anno si sarebbe trovato una soluzione consensuale visto che siamo in presenza della scadenza dell'accordo.

Proprio perché nelle prossime settimane si dovrà iniziare a discutere sul rinnovo dell'accordo aziendale, la questione assume particolare importanza, anche perché la storia degli ultimi anni ci insegna che, a differenza del passato, gli scioperi possono essere organizzati dalle singole Organizzazioni Sindacali (non unitari) e con modalità differenti, o addirittura per singole aree produttive.

E' ovvio che l'ideale sarebbe riuscire a convincere l'azienda ad escludere l'incidenza dello sciopero dalla presenza ma la cosa sembra essere piuttosto complicata. Si tratta quindi per noi di ragionare su eventuali possibili regolamentazioni che tengano almeno conto delle iniziative unitarie.

Palomba Salvatore

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Uno sguardo ad est

L'occasione di due seminari ( il primo a Firenze con alcuni sindacati dell'Europa centrale, il secondo ad Istambul con i sindacati turchi) mi hanno permesso di approfondire aspetti politici ed economici legati ai processi in atto nelle nostre industrie : decentramento produttivo e concorrenza.

In molti abbiamo presente il ruolo dei paesi dell'ex blocco sovietico nei confronti industria tessile italiana (e in tempi più recenti) meccanica.

La Polonia, l'Ungheria, le repubbliche Ceca e Slovacchia, la Slovenia e in misura diversa la Romania e la Bulgaria rappresentano una parte notevole dello spostamento ad est dell'industria europea (e italiana): spesso sono realtà consolidate.

Prima l'auto, poi anche l'elettrodomestico, infine le macchine utensili hanno riproposto una scelta che in molti temevano, ma non in queste dimensioni ed effetti.

Un pezzo d'Europa è entrato nel mercato comune il 1° maggio scorso, altri si aggiungeranno nei prossimi anni.

Siamo di fronte ad un potenziale umano e tecnologico di buon livello ad un costo del lavoro decisamente competitivo (almeno 4/5 volte più basso della media europea).

Spesso sono le vecchie aziende ad essere acquisite e ristrutturate: un tessuto senza dubbio utile per chi vuole investire in questi paesi: sulle agevolazioni economiche e fiscali non mi soffermo, anche se tutti credo abbiamo chiaro la convenienza.

Le leggi e le normative sul lavoro non sono certo paragonabili a quelle presenti in Germania o in Italia: spesso sono state mutuate dal Regno Unito o dagli Usa e quindi senza una tutela reale dei lavoratori e un riconoscimento politico del sindacato.

Un sindacato, anche in quelle realtà più dinamiche come l'Ungheria, la rep. Ceca o la Slovenia, che fatica a liberarsi dei vecchi legami senza peraltro riuscire a riproporsi come soggetto innovativo.

La debolezza delle organizzazioni sindacali si ripercuote anche sul livello contrattuale che è in grado di proporre.

Contrattazione spesso obbligata alla realtà aziendale con evidente difficoltà a svolgere un ruolo più generale. La stessa esperienza di Solidarnosc in Polonia si è dovuta ben presto confrontare con un quadro politico che, uscendo dalla stessa esperienza, ha di fatto emarginato il ruolo del sindacato.

La presenza di molte aziende multinazionali, che hanno alle loro spalle buone relazioni con il sindacato nei paesi dell'Europa occidentale, non applicano correttamente queste scelte anche negli stabilimenti ad est.

Spesso siamo in presenza di adesioni massicce al sindacato, ma questo rimane all'interno della singola azienda, con il rischio reale di divenire subalterni alle scelte delle direzioni aziendali.

In parte diversa la realtà incontrata in Turchia, quasi 60 milioni di abitanti, che nel 2010 sarà il paese più popoloso ¼ d'Europa.

Sindacato diviso e debole, in una realtà industriale in evoluzione, che ancora fatica nel poter svolgere appieno il proprio ruolo.

La dittatura militare e il ruolo di confine geopolitico di questo paese ha di fatto riproposto per anni un sindacato subalterno, che solo l'evoluzione di questi ultimi anni ha sviluppato organizzazioni che si sono riproposte alla attenzione, due di orientamento progressiste, la terza con un richiamo iniziale al mondo musulmano.

Gli iscritti sono in crescita, anche se pochi (circa due milioni) nel confronto dei lavoratori dipendenti che sommano a venti milioni. Le difficoltà che la legge impone (certificazione notarile degli iscritti, solo contrattazione aziendale) rende poco probabile un miglioramento a breve.

Ma in questi paesi che gli industriali stanno investendo, con l'entrata in Europa avranno pari opportunità ma con costi decisamente più bassi, con leggi sul lavoro spesso flessibili e un sindacato frammentato a livello locale e debole.

Ci dobbiamo confrontare con maggiore attenzione con questa realtà e la prospettiva non mi sembra rosea.

Franzetti Rinaldo

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Progetto "Carianca 2000"

Un'iniziativa della Fim contro il lavoro minorile che diventa realtà

Come tutti ricorderanno, nel 1999 la Fim raccolse la proposta dei metalmeccanici della Cut, la Cnm (Confederazione nazionale dei metalmeccanici), di realizzare un progetto congiunto, coerente con l'impegno richiesto dalla Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici (Fism) e dalla Cisl internazionale, di contribuire in modo tangibile e su scala globale alla lotta contro il lavoro minorile.

Il progetto "Criança 2000", è stato avviato nel luglio 2002 con i soldi raccolti tra i lavoratori metalmeccanici dalla FIM-CISL (oltre 10 mila euro per l'avvio in loco del progetto e 77 mila euro depositati su un apposito conto corrente aperto presso Banca Etica), con apporti di ISCOS e CNM-CUT e con il coinvolgimento attivo dell'Amministrazione Comunale di Belém.

Quest'ultima, oltre a contribuire con la messa a disposizione di locali e mezzi, garantisce alle famiglie con bambini che lavorano un assegno mensile (nell'ambito di un progetto pubblico chiamato "Bolsa Escola"), pari a 200,00 reais (pari a 66 dollari) a condizione che i loro figli smettano di lavorare e vadano a scuola.

Inoltre, il Comune di Belém garantisce attraverso il "Fundo Municipal de Solidariedade para Geração de Emprego e Renda", popolarmente conosciuto come il "Banco do Povo", l'accesso a forme di micro-credito per favorire quelle iniziative di micro-imprenditorialità (in forma associata o individuale) che sono sviluppate dal progetto congiunto FIM-CNM-ISCOS, dopo un percorso di formazione e apprendimento professionale rivolto ai famigliari adulti dei bambini che lavoravano (o che per sopravvivere, avrebbero finito per lavorare).

L'obiettivo era quello di intervenire sulla situazione d'estrema povertà delle famiglie, alla base del lavoro minorile, e sulle cause strutturali che la producono: l'alto tasso d'analfabetismo e la bassa qualificazione professionale di molte persone, i lavori precari a bassissima remunerazione, l'alto indice di nuclei familiari composti solo dalla madre e numerosi figli, le precarie condizioni di vita in un ambiente urbano degradato.

A due anni dall'inizio dei lavori il progetto sta dando soddisfazioni, infatti prima di ricevere il beneficio della "Bolsa da Escola" le persone coinvolte, a Belém, nel Progetto "Criança 2000" avevano mediamente un reddito di 60,00 Reais (meno di un dollaro al giorno). Coloro che hanno iniziato nuove attività lavorative, a partire dalla qualificazione professionale ricevuta, hanno raggiunto attualmente un reddito prossimo al salario minimo ed a quello medio delle persone che abitano nei loro quartieri (vedi tab 1).

Le condizioni di miseria spingevano prima i bambini di queste famiglie a svolgere lavori di vendita nelle strade, di lavaggio e custodia auto, di riparazione pneumatici, di raccolta materiali riciclabili ecc¼ Il presupposto fondamentale per il coinvolgimento delle famiglie nel programma è stato il reinserimento di questi bambini a scuola, con un buon indice di frequenza e di apprendimento (vedi tabella 2).

Senza un intervento di qualificazione professionale dei genitori, questi bambini al termine dei benefici del programma "Bolsa da Escola" (durata di 24 mesi), rischiavano di tornare alla situazione originale: necessità di ricorrere nuovamente al lavoro (abbandonando la scuola) per consentire la sopravvivenza delle loro famiglie.

L'offerta, tramite il progetto "Criança 2000", di percorsi formativi e di supporti tecnici finalizzati all'avvio ed alla gestione di piccole iniziative di lavoro individuale o in forma associata (economia solidale), ha permesso di elevare il reddito delle famiglie, facendole uscire dalla condizione di miseria estrema nella quale vivevano anteriormente. I risultati, nonostante siano piccoli in valore assoluto per il numero dei beneficiari di questo progetto completamente autofinanziato, sono significativi in quanto dimostrano che la formula sostegno al reddito + investimento in formazione degli adulti, consente con finanziamenti modesti di migliorare le condizioni di vita delle famiglie e sradicare il lavoro infantile in modo strutturale.

Questo dato trova ulteriore conferma dal fatto che anche quei genitori che, pur avendo frequentato il percorso formativo, ancora non lavorano e non ricevono più l'assegno della "Bolsa da Escola", non chiedono più ai loro bambini di lavorare e di lasciare la scuola.

La visione di questi genitori (generalmente donne) dopo il progetto è cambiata: hanno acquisito una nuova coscienza per la quale il lavoro infantile non è più visto come una soluzione, ma come un problema da combattere ed eliminare.

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"LA SIRENA" RIPRENDE A CANTARE

di Angelo Re

Cari lettori,

voglio porgervi i più sinceri complimenti per aver posto la vostra attenzione su questo inserto. Credo che l’interesse verso le posizioni espresse dai giovani sindacalisti indichi una alta sensibilità organizzativa oltre che un desiderio di approfondimento che passa attraverso punti di osservazione diversi, aspetto questo che non può far altro che nobilitarvi culturalmente. Detto questo, spetta a noi non deludervi e fare in modo che le tue letture continuino a frequentarci.

Abbiamo intenzione di riprendere un’esperienza editoriale piccola ma importante. Un’esperienza che è stata sospesa per un periodo piuttosto lungo per importanti ragioni organizzative, ma che oggi siamo intenzionati a riprendere. L’inserto "La sirena" era nato con un gruppo di delegati molto ristretto, due delegati e un operatore che coordinava i lavori, e nonostante l’esile comitato di redazione, è riuscito a creare uno spazio di approfondimento che andava oltre le questioni contingenti. C’erano approfondimenti storici e c’erano attenzioni per le questioni ludico-ricreative.

Noi oggi vogliamo ripartire da dove ci si era fermati. Oggi siamo organizzati in un nuovo comitato di redazione con molte ambizioni e che ci auguriamo si possa allargare sempre di più. Infatti siamo convinti che fra i lettori di questo giornale ci siamo molti delegati a cui piacerebbe scrivere qualcosa in più rispetto ai soli comunicati che si appendono in bacheca. Questo giornale è un buon mezzo divulgativo, e questo inserto è un’ottima opportunità per chi ha voglia di provare a scrivere ad una platea molto ampia (gli articoli sarà possibile trovarli anche nel sito della Fim:www.fim.varese.it).

Fra gli obiettivi che ci poniamo, oltre all’informazione, vorremmo riuscire a costruire un buon gruppo di lavoro, affiatato, capace di offrire possibilità di aggregazione fra i giovani e una buona interazione con tutta l’organizzazione. E perché no…un buon gruppo di amici.

Ora, se sei giovane e se la tua lettura è proseguita fin qui e non si è fermata dopo i complimenti delle prime righe, ritengo sia utile proporti di passare dalla lettura alla scrittura! Siamo certi che la tua collaborazione sarà più che preziosa per noi e potrà dare a te molte soddisfazioni.

Se sei interessato puoi scrivere a: fimva.gallarate@cisl.it oppure puoi telefonare direttamente 348 3806730. 

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LEGGE BIAGI UN DECOLLO DIFFICILE

di Ernesto Manfredi

Cari lettori, chi vi scrive è l’unico superstite del "vecchio" gruppo giovani. Colgo l’occasione per fare i migliori auguri a Stefano Bellaria (ex coordinatore del gruppo giovani) per il suo importante incarico a Bologna e a Angelo Re per la sua nomina a operatore responsabile della zona di Gallarate. Un pensiero particolare va alla professionalità ed umanità di Antonio Vassallo che ha lasciato l’attività lavorativa. Inoltre un grossissimo in bocca al lupo al nuovo gruppo giovani più affiatato che mai!!!

Come chiarito nella premessa, con LA SIRENA tratteremo argomenti e problemi che riguardano il mondo giovanile. Iniziamo con la legge Biagi.

E’ stata presentata e largamente pubblicizzata come un grande toccasana della disoccupazione, in grado di immettere nel mercato del lavoro giovani in cerca di prima occupazione, casalinghe in cerca di un lavoro part-time e di dare l’opportunità a qualsiasi persona di trovare un’occupazione su misura ( in base alle proprie aspirazioni e al tempo disponibile da dedicare all’attività lavorativa). Forse è proprio perché ha creato grandi aspettative che le delusioni rischiano di essere cocenti.

Purtroppo la legge Biagi è un’opera appena iniziata. Mancano ancora molti adempimenti ed accordi.

Le agenzie di lavoro interinali potranno dispiegare il loro grandissimo potenziale solo dopo l’estate in quanto ancora in attesa di ricevere autorizzazione.

La Borsa informatica del lavoro, segno tangibile del nuovo mercato e pietra miliare di questa riforma, ad oggi, funziona solo in cinque regioni italiane. Per essere nazionale deve essere presente ancora in altre quindici regioni!!!!

Per non parlare delle nuove disposizioni sull’apprendistato che sono state solo fonte di conferenze di Stato e Regioni.

Infine voglio ricordare il lavoro a chiamata. Lo devo ricordare io in quanto sicuramente è stato dimenticato come fonte di occupazione.

Non ricordiamo ciò che non va, per spirito disfattista. Ma per segnalare la gravità di una situazione occupazionale al capolinea. Non si creerà infatti più lavoro se la legge ritenuta la migliore d’Europa non è, in buona misura, ancora in funzione. E soprattutto se la crescita dell’economia continua a dare segnali preoccupanti. Serve il colpo di reni. Subito. Se si pensa che il lavoro sia una priorità.

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Grande manifestazione a Stoccarda

I giovani della Fim-Varese…Presenti!

Di Marco Ronga

E’ per me un motivo di grande soddisfazione constatare quanti giovani hanno interesse sui problemi sociali del presente e del futuro e quanti giovani militano nelle Organizzazioni sindacali di tutta Europa.

Ora voglio raccontarvi quel viaggio che abbiamo fatto per partecipare alla manifestazione europea che si è tenuta a Stoccarda, manifestazione che segna il passo verso un sindacato sempre più europeo.

Siamo partiti da casa alle 6:30 il giorno 3 aprile 2004. Il gruppo era composto dal sottoscritto, da Alberto e Domenico stoici delegati della General Machin di Cassano Magnago e da Mauro, un mio carissimo amico che lavora in una picola azienda del territorio gallaratese e che non manca mai ai momenti di piazza. Il punto di ritrovo era alla stazione di Verona dove un pulman era pronto per portare tutti i delegati giunti li, fino alla città tedesca. Fra i partecipanti era prevista anche la presenza del nostro segretario generale Giorgio Caprioli.

All’uscita dell’autostrada Verona Sud ci si è presentato subito il primo problema. Dei lavori in corso ci hanno obbligato ad incolonnarci per moltissimo tempo. Abbiamo incominciato a preoccuparci di non riuscire ad arrivare in tempo. Che fare? L’unica soluzione era quella di avvertire qualcuno sul pulman della nostra situazione, ma poiché non avevamo nessun riferimento telefonico ci siamo affidati al nostro operatore di Gallarate, Angelo Re. Detto e fatto, e il nostro Operatore con grande astuzie e in tempo reale ci ha comunicato il numero di telefono di… niente di meno che quello del nostro caro Segretario Generale. In macchina si è generata una grande emozione e una grande soddisfazione. E’ stata un’occasione un po’ particolare per conoscere di persona Giorgio, ma non ci siamo fatti nessuno scrupolo e ne abbiamo approfittato subito.

Arrivati alla stazione ci siamo accorti che i lavori in corso non avevano bloccato solo noi, infatti molti altri delegati mancavano all’appello. Siamo infine partiti alle 11:00 e la giornata si prospettava lunga e faticosa. Infatti il viaggio è durato ben dodici ore durante le quali l’autista, nonostante l’ausilio di un navigatore satellitare, ha sbagliato la strada almeno cinque volte. Un vero inferno. Però, il lungo viaggio ci ha permesso di comunicare molto fra di noi e di conoscerci bene. Ogni uno ha raccontato le proprie esperienze sindacali e lo scambio che ne è derivato è stato davvero ricco. Si è così formato un gruppo molto compatto ed educato che si è distinto anche nei momenti di stanchezza più duri, quando per esempio siamo finalmente arrivati all’ostello e ci siamo accorti che era situato in un posto molto lontano dalla città, un po’ desolante rispetto alle aspettative che si erano accresciute durante il lungo viaggio, oppure quando abbiamo assaggiato la cucina locale… patate, patate, patate e carne.

Finalmente il giorno della manifestazione!

Le manifestazioni sono uguali dappertutto, ma a Stoccarda sono rimasto colpito dalla splendida accoglienza che ci è stata riservata. Credo che il merito vada ai nostri innumerevoli connazionali che lavorano li.

Il comizio di Giorgio Caprioli è stato esemplare ed è durato circa quaranta minuti ed è stato accompagnato tutto il tempo da applausi e grida provenienti da tutta la piazza.

Ora riassumo i contenuti che mi hanno dato le emozioni più forti: il motivo per cui stavamo manifestando era per il sostegno dello stato sociale e della dignità dei lavoratori. I dirigenti sindacali hanno testimoniato la necessità di abbattere i confini interni dell’Europa per creare unità fra tutti i lavoratori e tutti i sindacati del nostro continente. Si è parlato di riforme pensionistiche e dei tagli delle spese sociali, della scorsa ad uno sviluppo senza regole che produce danni sociali e molti danni ambientali come la deforestizzazione, le ricadute sul clima, l’effetto serra, si è parlato dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua e di come questo problema sia ancor più grave nei paesi in via di sviluppo. Si è parlato di uno sviluppo senza regole che mette gli uomini di diversi paesi in concorrenza tra di loro, una concorrenza al ribasso verso il maggior sfruttamento. Il lavoro che si sposta nei luoghi dove ci sono meno diritti e dove ci sono salari più bassi.

Le difficoltà che affrontiamo in tutta Europa forse ci hanno fatto perdere di vista quanto sia importante la nostra esperienza, una esperienza di riferimento per molti paesi del resto del mondo.

Si è discusso inoltre di tre punti fondamentali dello stato sociale.

Il primo è il prelievo fiscale che deve essere progressivo rispetto ai redditi, insomma, chi possiede di più deve contribuire di più alle spese collettive. Molti governi europei hanno varato riforme fiscali che riducono la progressività usando il pretesto di semplificare il sistema delle imposte. La verità è un’altra: si vogliono avvantaggiare di più i ricchi e penalizzare i poveri.

Il secondo punto è la spesa sociale, essa deve garantire a tutti i cittadini l’assistenza sociale, l’istruzione, il sostegno alle famiglie numerose, la casa e la pensione. Queste spese sociali non solo sono giuste ma sono anche utili allo sviluppo del sistema economico di un paese. Ritengo sia sbagliato il concetto che ritiene la spesa sociale un lusso che ci si può permettere soltanto nei periodi di abbondanza. Una popolazione sana, più istruita, più sicura circa il futuro della famiglia e la serenità nella vecchiaia è un patrimonio fondamentale ed è la risorsa principale di ogni economia. Il terzo punto è quello di un sindacalismo forte e rappresentativo, radicato nei posti di lavoro e capace di tutelare i lavoratori con la contrattazione, e essere consapevoli che la principale caratteristica del sindacalismo europeo è quella di avere dei contratti nazionali di lavoro che garantiscono diritti e salario a tutti.

Per finire in Europa si dovrà difendere lo stato sociale, chiedere un fisco più equo, irrobustire la contrattazione, batterci per politiche economiche più attente a uno sviluppo fondato sull’innovazione, sulla ricerca e sulla formazione.

In questi tempi di crisi, di guerre , di terrorismo il sindacato rappresenta una forza di progresso, di pace, di fratellanza e di democrazia. Si deve spendere di meno per finanziare guerre sciagurate e di più per migliorare la vita di miliardi di lavoratori di disoccupati e di pensionati.

Le parole di Giorgio sono state accolte con un grande boato della piazza.

Voglio concludere il racconto di questa esperienza con questa frase di Giorgio con l’augurio che sia un motto per tutti noi: un mondo migliore è possibile, uniamoci e battiamoci per realizzarlo!

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Il campo scuola regionale di Clusone

Di Alberto Mondini (RSU General Machin)

Le mie impressioni riguardo il campo scuola di Clusone sono sicuramente positive anche se gli argomenti trattati non mi erano nuovi perché io ho già partecipato alla formazione di base organizzata dalla nostra Fim provinciale.

Comunque in questi due giorni e mezzo abbiamo avuto modo di approfondire l’argomento della comunicazione.

Grazie agli orari e ai formatori il corso si è sviluppato bene e ha tenuto alta la soglia di attenzione dei corsiti, abbiamo avuto modo di conoscere altre realtà confrontandoci e scambiandoci le nostre esperienze anche fuori dall’orario di formazione. Ritengo che questo sia sicuramente di più dei soliti corsi base.

Ritengo inoltre che l’idea di creare una rete tra i delegati sia molto buona per arrivare ad avere un gruppo giovani più forte e che potrà sicuramente dire la sua su i vari temi che affrontiamo giornalmente nei nostri posti di lavoro.

Grazie a questo corso ho capito che la Fim investe molto sulla formazione di noi giovani per avere un ricambio generazionale e per affrontare meglio come sindacato gli anni a venire.

In conclusione ringrazio la Fim per questa esperienza e non posso fare altro che consigliarla a tutti i delegati.

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