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Il numero di ottobre/novembre '01

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Gli articoli
Finanziaria e dintorni
Tesseramento
Anche la Velamp ridotta al lumicino
Modecor: metalmecanici sì, ma con ...dolcezza
Sindacato e "Dipendenze"
Artifond: perchè aderire

 

Finanziaria e dintorni

Non siamo ancora all'ultimo atto della finanziaria, mentre scriviamo sono ancora in corso le trattative tra il governo e le parti sociali, ma la partita sembra essere ancora lunga. Il buco annunciato dal governo di 90 mila miliardi non c'era e non c'è; lo stesso ministro Tremonti lo ammette non a parole ma nei fatti, preparando una finanziaria da 33 mila miliardi, così come già predisposta dal precedente governo. Su tali questioni pesa la scelta Europea di restringere molto gli spazi di manovra dei singoli stati, obbligati a stare all'interno degli obiettivi programmati. Per il 2002 la Comunità Europea aveva fissato l'indebitamento possibile allo 0,8%, corrispondente a 20 mila miliardi. Poco, visto che già dall'inizio dell'anno si notava un rallentamento dell'economia, Stati Uniti in testa. I gravi fatti successi poi in America hanno amplificato ed accelerato le difficoltà economiche che erano in atto da quasi un anno. Per questo motivo, già il governo precedente aveva chiesto alla Comunità Europea la possibilità di splafonare lo 0,8% stabilito, per avere così maggiori possibilità di manovra. Tale richiesta veniva accolta dalla Comunità Europea che fissava il nuovo limite a 1,1%, corrispondente a 28 mila miliardi.

I provvedimenti che il governo entro tali vincoli ha preso o annunciato sul fronte delle uscite possono essere così sintetizzati: un primo intervento che cerca di accontentare una certa sfera di persone con provvedimenti di scarsa incidenza sul piano dei conti dell'Italia, ma sicuramente interessanti per precise fasce sociali (vedi ad esempio l'abolizione delle tasse sulla successione, la legge Tremonti bis, il falso in bilancio); un secondo intervento che prevede l'aumento delle pensioni minime a un milione ( costo 4.000 miliardi) e l'aumento delle detrazioni per figli a carico (costo 2.000 miliardi).

Questo secondo intervento prevede la novità dell'aumento delle pensioni minime, per la cui realizzazione si stanno definendo le modalità operative e il reperimento delle risorse onde evitare splafonamenti e quindi la partita è tutta aperta. Per quanto riguarda l'aumento delle detrazioni per figli a carico, invece, le risorse sono state individuate, spostando nel tempo quanto previsto dal precedente governo, la riduzione cioè di un punto di aliquota fiscale per la fascia di reddito compresa tra i 20 e 30 milioni (tale operazione comportava infatti un costo di 2.700 miliardi, mentre l'aumento di detrazione per figli a carico comporta un costo pari a 2.000 miliardi ).

Non credo sia il caso di discutere se sia meglio avere centomila lire per tutti o duecentomila per chi ha figli a carico, ma sicuramente questo aggiunge due problemi che vanno affrontati.

Il primo problema è che gli accordi con il governo prevedono una restituzione di tasse in presenza del superamento del 2% di inflazione (il famoso fiscal drag) e nel 2001 siamo ad una previsione del 2,8%.

Il secondo problema è che, come tutti gli economisti riconoscono, siamo in un momento di rallentamento della domanda, dovuto a diversi fattori (sui motivi gli stessi economisti sono meno precisi) e quindi fa bene il sindacato a richiedere un alleggerimento delle tasse (oltre a quelle per i figli a carico) per consentire una maggiore disponibilità finanziaria ed aiutare così la ripresa dei consumi.

Sul fronte delle entrate, l'intenzione del governo è, a parte qualche meccanismo sul rientro dei capitali e simili (ma dai conti si capisce che non ci crede molto neppure il governo), di reperire i 33 mila miliardi nel seguente modo:

- 9 mila miliardi da tagli ai ministeri, tranne gli interni e la difesa per ovvie ragioni di guerra;

- 9 mila miliardi da condoni ( rispuntano i premi per chi non ha rispettato la legge);

- 15 mila miliardi dalla diminuzione dei tassi di interesse dal 6,2% al 5,6% del PIL.

Una finanziaria 2002, quindi, attenta solo ai problemi di cassa, che punta a far quadrare i conti senza affrontare i problemi dell'occupazione e spostando la soluzione dei problemi del mercato del lavoro e della previdenza ad alcuni decreti governativi.

Tale decisione è fortemente contrastata dalla Cisl, che ritiene invece sia necessario aprire un tavolo di concertazione e confronto per definire regole che riguardano la vita sociale dei lavoratori.

Sul mercato del lavoro e sulla previdenza il governo aveva istituito due commissioni che rilevassero la situazione italiana; la prima ha prodotto il "libro bianco", la seconda viene definita "commissione Brambilla".

Sul mercato del lavoro, il cosiddetto "libro bianco" parte da raffronti e indicazioni di carattere europeo. Così come è avvenuto per esempio per i contratti a tempo determinato, il lavoro notturno per le donne, ecc., adesso si cerca di aumentare il rapporto tra le persone che lavorano e quelle che potrebbero lavorare, andando oltre il mero conteggio dei disoccupati.

Questo rapporto in Europa è pari al 70% e per raggiungere questa media occorrerebbe aumentare gli occupati in Italia di 8 milioni.

L'Italia però ha degli squilibri in più degli altri paesi europei, perché l'occupazione non è distribuita in modo omogeneo tra Nord e Sud ed esistono maggiori difficoltà occupazionali da parte di alcuni soggetti specifici quali le donne e i più anziani. A partire da questi dati, la ricetta del governo è basata su proposte che puntano ad ampliare la flessibilità del lavoro, eliminando ad esempio l'art. 18 sul reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa, o al superamento del contratto nazionale con l'introduzione della contrattazione individuale, ecc.

Ma già oggi esistono più strumenti di flessibilità spesso usati a sproposito.

I problemi poi legati alle differenze occupazionali tra Nord e Sud e ai diversi tipi di rapporti di lavoro (contratti a tempo determinato, apprendistato, CFL, collaborazioni, consulenze, lavori atipici in generale) vanno concordati e regolamentati definendo regole e funzioni più certe per ogni singolo strumento. Questa, peraltro, è un'esigenza del sindacato ma anche dei lavoratori, che oggi devono fare i conti con una diversità di strumenti spesso non scelti da loro ma imposti e che diventano così strumento di precarietà inaccettabile per le conseguenze che provocano in termini di insicurezza sul lavoro e spesso anche famigliari.

Su tali argomenti, che finiranno per influenzare la vita futura dei lavoratori, è necessario un confronto per la definizione di regole certe e concordate. Bene fa la Cisl a pretendere tale confronto. E' interesse del lavoratore che si arrivi ad un riordino degli strumenti di accesso al mondo del lavoro, differenziando il ruolo dell'apprendistato dal CFL e dando ai contratti di formazione lavoro più un ruolo di reinserimento lavorativo e di riqualificazione. Vanno regolamentate le collaborazioni coordinate e continuative piuttosto che quelle saltuarie, oggi molto spesso usate per nascondere un rapporto di lavoro. Così come pure, nella revisione del collocamento tra privato e pubblico, bisogna fare molta attenzione alla tutela delle fasce più deboli, che ritengo non possano essere lasciate al collocamento privato, ma per le quali debba essere previsto un ruolo preciso all'interno del collocamento pubblico. Il concetto della flessibilità per noi deve essere quello di poter cogliere tutte le occasioni di lavoro, per essere in grado di trasformare queste occasioni in un consolidamento del lavoro e dare più tutela ai lavoratori stessi.

Sui temi legati poi ai sistemi contrattuali, probabilmente è vero che qualche cosa va rivisto, l'accordo del 23 di luglio forse non basta più. I problemi e le situazioni che portarono allora a definire l'intesa oggi sono cambiati e sicuramente ha assunto maggior rilievo l'esigenza di livelli contrattuali decentrati.

A partire da tali considerazioni, pensiamo si possa ridefinire un sistema di regole che puntino da una parte al mantenimento di un sistema di contrattazione nazionale, che tuteli tutti con garanzie normative, di difesa del potere d'acquisto e che regoli le sedi di partecipazione e bilateralità, dall'altra a un livello decentrato (aziendale e/o territoriale) in cui si contratta e distribuisce il salario di produttività, si contratta l'organizzazione del lavoro, la gestione degli orari, la formazione dei lavoratori, con vincoli forti sulla esigibilità della contrattazione.

Il documento di programmazione dei prossimi anni è improntato molto sulla fiducia in una crescita economica ed occupazionale, ma quando si arriva al tema delle pensioni ritorna il pessimismo e si va alla ricerca dei pezzi da tagliare, ma senza giustificazioni.

La commissione Brambilla, incaricata dal governo di esaminare gli effetti prodotti dalla legge Dini sulle pensioni, ha dovuto riconoscere che la legge ha funzionato, consentendo il risparmio di 50 mila miliardi. Pur tuttavia si proietta in previsioni pessimistiche, non conformi ad altri dati anch'essi del governo e di conseguenza propone tagli e modifiche alle pensioni.

Tutti sappiamo che la garanzia vera futura è legata all'occupazione e che l'occupazione aumenta se aumenta il PIL (prodotto interno lordo). Quindi, anche dal punto di vista della proiezione nel tempo, il problema non sussiste, tenendo anche conto che nel 2007 termina la fase di transizione della legge Dini. E' solo un pretestoche nasconde l'intenzione di modificare le pensioni in senso peggiorativo, con il passaggio per tutti dal sistema retributivo al sistema contributivo pro-rata o con l'eliminazione delle pensioni di anzianità.

Contraddizione nella contraddizione, Confindustria propone la diminuzione dei contributi versati per le pensioni. E' lecito pensare che non sia un regalo ai lavoratori né nell'immediato (chi dovrebbe pagare meno tasse: il lavoratore o l'azienda?) né in prospettiva, perché questo sì che metterebbe in discussione le pensioni.

Bisogna invece ricordarsi che il metodo diverso di calcolo delle pensioni (passaggio dal sistema retributivo al contributivo) per chi aveva meno di 18 anni di lavoro nel 1995 reggeva in un rapporto solidaristico tra generazioni, poiché prendeva atto che i più anziani non avrebbero fatto in tempo a crearsi una pensione integrativa e per questi è rimasto infatti il vecchio sistema, mentre i giovani avrebbero avuto la possibilità di costruirsi una pensione integrativa aggiuntiva. L'esperienza di questi 6 anni ha però dimostrato che non basta il discorso teorico sulla necessità delle pensioni integrative, ma occorrono anche fatti e decisioni, promessi dal governo ed ancora oggi insufficienti. Quindi anche sul tema della previdenza il confronto con il governo deve avvenire nella chiarezza delle nostre posizioni. Sono giustificati i no della Cisl a modificare il metodo di calcolo dal retributivo al contributivo, così come l'eliminazione del meccanismo di anzianità. Bisogna invece discutere della previdenza integrativa, di come dare la possibilità a tutti di accedervi, a partire dal settore pubblico su cui le responsabilità sono tutte di chi governa, per arrivare all'eliminazione di alcune sacche di privilegiati che ancora ci sono. La partita è dunque tutta aperta e riteniamo vada giocata fino in fondo, consapevoli comunque che voler proseguire il confronto vuol dire puntare non ad un accordo qualunque, ma bensì ad un accordo che contenega e risponda alle questioni di fondo sopra riportate; se per giungere a questo le parole non dovessero bastare, si dovranno individuare anche forme di lotta appropriate.

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Obiettivo tesseramento: raggiunto e superato

VINCE LA SQUADRA

Nello scorso numero di "Informazione", abbiamo comunicato che mancava ormai poco a raggiungere l'obbiettivo sul tesseramento prefissato all'inizio dell'anno e chiedevamo a tutti un ultimo sforzo.

Ora vi confermiamo con grande soddisfazione che l'obbiettivo non solo è stato raggiunto ma è stato addirittura superato (3.910).

L'articolazione dei dati ed il confronto con il passato ci dice che gli iscritti del ex comprensorio Varese-Laghi sono ritornati ai livelli del 1990 (anno di massimo storico), mentre nel ex comprensorio di Busto si è tornati al dato dell'unificazione provinciale.

Dati indubbiamente importanti, dovuti all'ottimo lavoro di squadra che ha caratterizzato da sempre la Fim, ma in particolare quest'anno visti i problemi legati al rinnovo del contratto nazionale.

Avremo modo di tornare su tutti questi argomenti in futuro e in modo più approfondito (cosa che non possiamo fare ora per motivi di spazio), per ora ci interessa comunicare il dato, poiché può servire come elemento di riflessione e, contemporaneamente, ringraziare tutti i delegati e attivisti che pure in una situazione difficile come quella contrattuale, hanno avuto la consapevolezza che la posta in gioco era il futuro del sindacato libero, autonomo, solidale. 

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Velamp

Anche la Velamp ridotta ...al lumicino

La Velamp, storica azienda di Venegono, costruttrice di torce elettriche, ha deciso di chiudere l'attività produttiva.

La storia ormai si trascinava da parecchi anni.

I primi segnali di difficoltà sono da far risalire all'inizio degli anni novanta, quando erano presenti ancora 120 dipendenti, determinati da una concorrenza sempre più forte proveniente soprattutto dai paesi asiatici da una parte e dalla scarsa attenzione posta dalla proprietà all'innovazione del prodotto.

Così, per far fronte alla necessità di competere e quindi di ridurre i costi, a metà degli anni novanta, veniva fatta una prima ristrutturazione con conseguente riduzione di personale, seppur con accompagnamenti alla pensione o incentivazioni e qualche anno dopo, un'ulteriore ristrutturazione che vedeva esternalizzata la produzione in due aziende (Algor e Proxima) comunque controllate sempre dalla famiglia Pagani, proprietaria di Velamp.

Velamp diventava così solo un'azienda commerciale con una decina di dipendenti e gli altri venivano collocati nelle due nuove aziende o (in particolare quelli vicini alla pensione) in mobilità concordata.

Ma anche questi interventi si sono rivelati non sufficienti infatti, mentre Velamp incominciava a risanare il bilancio, le due aziende fornitrici (in particolare Algor) continuava ad avere grossi problemi.

Le cose sono andate avanti comunque, fintanto che Pagani (l'azienda madre costruttrice di fanaleria per auto e moto con sede a Milano) andava bene e poteva in qualche modo coprire le perdite delle altre aziende del gruppo.

Negli ultimi anni anche Pagani si è trovato di fronte a grossi problemi ed in particolare lo scorso anno si è chiuso con un bilancio fortemente negativo.

Anche in questo caso si è trattato di una serie di cause da ricondurre alla scarsa attenzione al mercato e all'organizzazione del lavoro.

La situazione è così degenerata al punto tale che l'azienda è stata messa in vendita e poi rilevata da un gruppo Modenese.

I nuovi proprietari, presa in mano la situazione e visto la gravità, hanno deciso una forte ristrutturazione di tutto il gruppo e, seppur per ora, la commerciale Velamp si è salvata, le altre due unità produttive saranno chiuse entro fine anno. Peraltro è incerto anche il futuro di Pagani, almeno così come è strutturata e dimensionata oggi.

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Modecor di Cuvio

Metalmeccanici sì, ma con ¼ dolcezza!

Quando si entra nella grande sala esposizione di questa azienda metalmeccanica, si ha l'impressione di entrare in una pasticceria: l'intera produzione della Disney, tutto quanto può servire per un matrimonio o per un battesimo, fiori e frutta in pasta di zucchero e, perfettamente allineate, le ultime novità in fatto di cartoni animati o di favole.

Nel dubbio di aver sbagliato chiediamo alla reception di chiamarci il delegato Massimo Donati: non ci sono dubbi, siamo alla Modecor, e diamo inizio alle nostre domande.

Cos'è la Modecor, e cosa produce?

La Modecor è un'azienda che produce decorazioni di pasticceria per i grandi laboratori. In concreto produciamo tutti quegli oggetti che servono per comporre e guarnire una torta. Una produzione particolare, difficilmente paragonabile ad altre del settore metalmeccanico e che viene venduta oltre che in Italia, in tutta Europa e nel mondo.

Un settore che dovrebbe essere più vicino agli alimentaristi che ai metalmeccanici. E' sempre stato così?

Sì, forse è così, ma quando siamo arrivati noi in Modecor era già stato applicato il contratto metalmeccanici, anche perché il nostro prodotto utilizzava materiali di vario tipo e non c'era un riferimento specifico nei contratti collettivi.

In seguito si è allargato il mercato ed abbiamo iniziato a produrre diversi articoli con ingredienti alimentari come lo zucchero o la farina. Ma il contratto è rimasto lo stesso, anche se qualche volta tra di noi se ne parla e qualche curiosità su quello degli alimentaristi l'abbiamo.

L'azienda c'è da quarant'anni, ed ha avuto una grande espansione negli ultimi anni, un aumento degli organici e il raddoppio del fatturato.

Quanti sono i dipendenti attuali?

I dipendenti effettivi sono 75, in più vengono assunte dalle 5 alle 10 persone nel periodo di alta stagionalità con contratti a termine. Il 90% circa è manodopera femminile.

Com'è organizzato il lavoro?

Gli orari , anche per esigenze di mercato, devono essere molto flessibili: è una discussione che va avanti da un po' di tempo ed è tutt'ora presente in azienda. Sono diversi gli orari presenti, cambiano spesso e la gente si deve adattare. E poi c'è la mobilità tra una produzione ed un'altra dovuta in particolare ai carichi di lavoro che variano in continuazione.

Com'è nato il sindacato in Modecor?

Il sindacato è nato sei o sette anni fa, per questioni di errori riscontrati nelle buste paga. E per il comportamento scorretto di alcuni elementi (che tra l'altro non ci sono più in azienda).

Questa è la molla che ha fatto scattare l'esigenza di tutela e di intervento del sindacato.

Sono stati anni di conflitto, spesso molto duro, fino a poco tempo fa.

Da un pò siamo riusciti a stabilire un rapporto con la Direzione aziendale e le cose sono cambiate.

La prima volta della Rsu?

Nel 1996 abbiamo eletto la prima Rsu, nel frattempo la fabbrica è cresciuta ed oggi abbiamo bisogno di allargare ad altri la partecipazione. Gli iscritti alla Fim sono una ventina, adesione avvenuta in momenti e per motivazioni diverse, spesso per la soluzione di problemi individuali.

Oggi abbiamo bisogno di dare una visione di gruppo, collettiva.

Quali argomenti avete affrontato e quali le difficoltà incontrate?

Il più importante è senza dubbio il Premio di Risultato e poi gli interventi sulle professionalità.

Su questo argomento non abbiamo parametri di riferimento nel nostro contratto avendo mansioni particolari. Infatti la maggior parte delle operaie è inquadrata al 3^ livello del contratto Confapi, con qualche rara eccezione al 4^.

Il lavoro di produzione è manuale, specie quando si devono lavorare ingredienti come lo zucchero o la pasta o assemblare pezzi in plastica: in queste produzioni sono aumentate le importazioni dall'estero (Cina, Bulgaria, Tunisia) dove la manodopera costa meno.

Il ruolo degli impiegati?

Gli impiegati rappresentano circa il 40% degli occupati e la maggior parte delle assunzioni è stata finalizzata al rafforzamento dell'ufficio che opera con l'estero e per la ricerca di nuovi mercati.

I prodotti che vengono acquistati all'estero vi hanno creato problemi produttivi?

No, almeno fino ad ora. Il personale che si liberava in quelle produzioni è stato inserito in altre: ad esempio il magazzino è stato ampliato e l'organico aumentato.

La scelta aziendale è stata forse obbligata per contenere i costi, ma non ha creato grossi problemi e in compenso il fatturato è aumentato.

Come delegato devo stare dietro a questi problemi; le relazioni sono migliorate in questi tempi e si riesce a risolvere qualche problema, ma non siamo ancora al dialogo e alla partecipazione dei lavoratori in un'azienda in evoluzione.

La partecipazione della gente alla attività sindacale?

Buona la partecipazione alle assemblee e un buon rapporto con tutti che mi permette di lavorare con un consenso positivo. Anche se i risultati ci sono stati, ci sono difficoltà ad aumentare il numero degli iscritti.

Che rapporto con i delegati delle altre fabbriche metalmeccaniche?

Non mi crea problemi essere in un settore in parte differente dal nostro prodotto, perché ho potuto verificare che non è il prodotto ma la gente che fa la differenza. Da noi c'è una mentalità diversa, anche se i problemi alla fine sono gli stessi (orari, qualifiche, flessibilità), diversi sono i modi per affrontarli e questa è, a mio parere, la differenza con le altre fabbriche.

Settore con quali concorrenti?

In Italia pochissimi e di dimensioni molto ridotte. La concorrenza vera è quella estera, francese o tedesca che forse potrebbe metterci in difficoltà.

Qualche sogno nel cassetto?

Sicuramente arrivare ad un dialogo più aperto e trovare un punto d'incontro con l'azienda sui problemi comuni come la produzione o l'occupazione o la stessa flessibilità.

A differenza di altre aziende metalmeccaniche, la prevalenza di manodopera femminile da noi ci obbliga ad affrontare i problemi da una angolatura diversa.

Gli orari di lavoro sono legati alla famiglia, ai figli.

Il part-time da noi è oltre la percentuale prevista dal contratto e questo è un aspetto positivo, come positivo è l'applicazione della Legge 53/2000 dei congedi parentali. L'azienda ha sempre risposto positivamente alle richieste fatte dalle lavoratrici.

Formazione in azienda?

Ci sono reparti, come quello dove si lavora la ghiaccia (impasto di zucchero) per fare fiori che guarniscono le torte, per esempio, che necessitano di un tirocinio di due o tre anni per imparare a produrre un buon numero di articoli e di buona qualità. E' un lavoro forse non considerato appieno e la qualifica dovrebbe essere adeguata alle capacità delle dipendenti.

La stessa cosa vale per altri reparti, ma la difficoltà è trovare, nel nostro contratto, dei profili professionali corrispondenti.

Inoltre alcune fasi di lavoro (magazzino e spedizioni, imballo) sono controllate o collegate ai computers e quindi la conoscenza dei dipendenti su come funziona la macchina è basilare.

L'azienda fa formazione, anche perché la certificazione Iso 9002 la obbliga ad una continua evoluzione, ma la fa anche sulla 626 e sulle proposte che come Rsu abbiamo fatto.

Rinaldo Franzetti

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SINDACATO E "DIPENDENZE"

Quali sono le motivazioni per le quali il sindacato decide di occuparsi dei problemi legati alle diverse forme di dipendenza? Il preambolo dello statuto Cisl sancisce che è nostro obiettivo "tutelare la dignità ed il rispetto della persona umana come condizione primaria dì vera giustizia sociale". Non c'è dubbio che la dipendenza causata dall'assunzione di droghe, siano esse "vecchie" come l'alcool e l'eroina o nuove come l"ecstasy e cocaina, creano un forte disagio umano, sociale e culturale nella collettività.

Peraltro, i cambiamenti e le tendenze in atto rendono inadeguata la lettura tradizionale di ciò che sta accadendo nel mondo della tossicodipendenza, e di quale sia il contesto sociale in cui l'uso di determinate sostanze si sta evolvendo.

Infatti stiamo pian piano assistendo all'estinzione del consumatore 'puro' ed esclusivo di una sola sostanza. E' sempre più raro, infatti, trovare persone che alla sostanza d'abuso principale non affianchino altre sostanze di origine naturale o di sintesi (chimiche).

Si va sempre più verso l'affermarsi del policonsumo come modalità principale di assunzione delle sostanze, che è strettamente legato alle opportunità del mercato. Insomma la stessa persona consuma cose diverse perchè desidera di volta in volta effetti diversi, frequenta persone diverse, vive modalità di divertimento o problematiche molto variabili nel tempo e nello spazio. I mutamenti e le tendenze descritti si accompagnano a un forte mutamento dell'identikit del tossicodipendente.

Il Sindacato ha scontato una fase di ritardo nell'affrontare il problema, pensando che non fosse suo compito. Solo dopo licenziamenti di lavoratori tossicodipendenti è iniziata una fase di riflessione ed elaborazione di proposte diventate norme contrattuali e previdenziali che tutti i nostri operatori dovrebbero conoscere. La conservazione dei posto di lavoro per i tossicodipendenti che intendono riabilitarsi presso strutture pubbliche o comunità terapeutiche è uno strumento importante, ma il sindacato può fare di più, sia nei luoghi di lavoro sia nel territorio, nel campo della prevenzione e dell'inserimento lavorativo.

Progetto

FEMCA, FILCA e FIM del Ticino Olona hanno deciso di dare il loro contributo programmando un percorso di informazione e formazione, rivolto a delegati di grandi aziende, con l'obiettivo di far conoscere le Strutture e gli Enti che operano sul territorio al fine di creare un raccordo con le stesse. Nel momento in cui si dovesse verificare un problema di dipendenza all'interno della realtà aziendale, il delegato potrebbe essere affiancato da esperti che possono offrire il loro aiuto e il loro supporto.

Inoltre è necessario accrescere la consapevolezza del delegato sindacale che può intervenire sulle problematiche del lavoro ed essere un facilitatore nella risoluzione di problemi legati alla persona.

Questa iniziativa verrà svolta presso la Sede Cisl di Busto Arsizio in collaborazione con le unità operative SER.T (Servizio Dipendenze dell'Asl) che operano sul territorio di Busto Arsizio e Gallarate.

Contenuti

Il nostro progetto in sostanza è composto da 2 momenti specifici.

Il primo riguarda l'analisi dei bisogni e delle conoscenze dei delegati rispetto alle leggi che tutelano i tossicodipendenti, al clima aziendale, ai giudizi e pregiudizi legati al virus HIV. Questa fase è stata in parte realizzata con la distribuzione di un questionario ad un gruppo di circa 25 delegati della FEMCA, FIM e FILCA.

La seconda fase sarà di informazione rispetto al tema della dipendenza, ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni rispetto all'uso di sostanze, alla conoscenza dei servizi presenti sul territorio ed infine di come il rappresentante sindacale può e dovrebbe intervenire all'interno dell'azienda per individuare situazioni a rischio ed eventualmente fornire informazioni e indirizzi utili alla risoluzione dei problema.

Questa seconda fase si concretizzerà con 2 mezze giornate di informazione/formazione che si terranno presso la Sede CisL del Ticino Olona il 20 novembre e il 4 di dicembre.

Ballante

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ARTIFOND: Fondo Pensioni Integrative per i lavoratori artigiani

Perché aderire

Come già scritto sul numero 124 di Informazione Fim, è finalmente partita la raccolta di adesioni ad Artifond, il Fondo di previdenza complementare per le lavoratrici e i lavoratori dell'artigianato.

Per evitare però che tutto il lavoro fatto sia vanificato, occorrerà raccogliere al più presto almeno 10.000 adesioni, questo è infatti il requisito minimo stabilito per l'effettiva partenza, e dare così le stesse opportunità presenti nell'industria anche ai lavoratori dell'artigianato.

E' assolutamente necessario non sprecare l'occasione proprio per evitare che il tutto venga rinviato di anni. Peraltro, l'obbiettivo potrebbe sembrare facilmente raggiungibile, ma così probabilmente non sarà; infatti, da una parte ci sarà da vincere la probabile ostruzione dei "padroncini" e in tali casi vi invitiamo ad informarci, ma dall'altra sarà presente l'esigenza dei lavoratori di capire meglio come funziona, quali vantaggi e quali sicurezze vengono offerti.

Ovviamente non sarà facile dare tutte le informazioni necessarie, anche perché non sarà semplice riuscire ad organizzare assemblee nei luoghi di lavoro.

Per tali motivi vogliamo tornare sull'argomento anche in questo numero del nostro giornalino, informando comunque che ulteriori e più precise informazioni si possono avere dai responsabili Fim e Cisl, telefonando al 0332-283654 si potranno avere gli orari e le sedi con i recapiti delle sedi della provincia.

Entrando nel merito, cos'è Artifond? Artifond è un fondo istituito per via contrattuale da Fim-Fiom-Uilm e dalle Associazioni Artigiane dei datori di lavoro. Le adesioni dovranno essere raccolte prima dell'inizio dei versamenti, per poter eleggere l'assemblea e gli organismi di direzione del fondo e completare quindi l'iter burocratico di Autorizzazione del fondo stesso.

Bisogna precisare che l'adesione al fondo è volontaria.

Per aderirvi bisogna farvi richiesta scritta.

Possono aderirvi tutti i lavoratori dipendenti da aziende artigiane che abbiano superato il periodo di prova.

Nella fase iniziale l'adesione può avvenire in qualsiasi momento. Successivamente le adesioni potranno avvenire entro maggio con effetto 1° luglio, oppure entro novembre con effetto 1° gennaio dell'anno successivo.

All'atto dell'adesione è previsto il versamento di una quota di lire 10.000 a carico del lavoratore e di lire 10.000 a carico dell'azienda.

I soci del fondo sono i lavoratori che hanno aderito e le aziende dove ci sono i lavoratori che hanno aderito, poiché anche loro pagano la loro quota.

La misura della contribuzione annua è fissata, per tutti i settori con riferimento ai minimi tabellari, più contingenza, più EDR, in:

- 1% carico azienda;

- 1% carico lavoratore;

- 16% del TFR maturando;

- 100% del TFR maturando per i la

voratori di prima occupazione successiva al 28 aprile 1993.

I lavoratori di prima occupazione possono inoltre optare per un versamento a loro carico pari al 2%.

Il contributo sarà trattenuto mensilmente dalla busta paga. L'azienda dovrà fornire ai lavoratori un'appropriata comunicazione del versamento.

In caso di mancato o ritardato versamento da parte dell'azienda, la stessa dovrà procedere al versamento della contribuzione dovuta, maggiorata dal versamento, dal periodo considerato del rendimento dell'anno precedente e degli interessi legali di mora.

Tali versamenti potranno essere riscattati in due modi: o al momento della risoluzione del rapporto di lavoro oppure al momento della maturazione dei requisiti di pensione pubblica di anzianità o di vecchiaia.

Nel primo caso, l'interessato potrà decidere di farsi liquidare tutto quanto versato o in alternativa proseguire i versamenti presso l'azienda artigiana in cui andrà a lavorare; nel caso di nuova azienda industriale, potrà operare il trasferimento delle quote versate nel fondo cui aderisce la nuova azienda. AL

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