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Il numero di marzo '00

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Gli articoli
Anche a Varese è partita la campagna per il NO
Il testo dell'appello del Comitato per il NO
Appello per le libertà ed i diritti dei lavoratori
Uscite "morbide" alla Duplomatic
La riforma del collocamento obbligatorio
Cisl Lombardia: inserimento lavorativo disabili
Corso base per i delegati
Una ricerca sul delegato Fim in provincia
Orologi tesseramento: da simbolo a realtà
Orologi del tesseramento: le dichiarazioni dei premiati
Vulcano: "vivere il sindacato in modo positivo"
Patto per il Lavoro a Milano (Inserto La Sirena)
La formazione nell'apprendistato (Inserto La Sirena)
Origini del sindacato in Italia (1870-1900) (Inserto La Sirena)
 

Referendum

Anche a Varese è partita la campagna per il NO

Riguarda i referendum sui licenziamenti e sulle trattenute sindacali in busta paga. Sugli altri cinque referendum resta piena libertà di giudizio per gli iscritti al sindacato

Si sta avvicinando rapidamente il voto per le elezioni regionali e, con esso, si avvicina l'avvio della campagna per i referendum, che partirà nella seconda metà di aprile. Come si ricorderà, e come è stato anche ampiamente illustrato da queste colonne, i referendum sono stati concepiti soprattutto per essere un grimaldello contro diritti e conquiste dei lavoratori, frutto di lotte e di impegno sindacale e politico in quest'ultimo mezzo secolo. Se gran parte di questo disegno è stato incrinato dalla Corte Costituzionale che, con motivazioni diverse, non ha ammesso sei degli otto referendum con contenuto anti-sociale, non per questo lo scontro che ci sarà sui due quesiti rimanenti ci deve lasciare indifferenti. Uno dei due quesiti rimasti è infatti su una materia dirompente, quella del diritto di licenziamento individuale. L'altro quesito, quello che vuole abrogare il servizio di trattenuta del contributo sindacale agli iscritti in mobilità o in cigs da parte dell'Inps, è meno importante da un punto di vista sociale, ma pone una rilevante questione di principio: il diritto del lavoratore iscritto a chiedere la trattenuta del contributo sindacale dalla busta paga.

I primi sondaggi danno il NO in vantaggio sul referendum contro il diritto di reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato, ma non bisogna ugualmente abbassare la guardia. C'è infatti una tesi molto diffusa, nella società e nell'opinione pubblica, secondo la quale i diritti dei lavoratori in questo caso si scontrano con la competitività del sistema produttivo e quindi danneggiano la possibilità di allagare l'occupazione. E' una tesi del tutto discutibile, ma pericolosa, perché fa breccia anche all'interno delle forze del centrosinistra, quelle cioè che almeno formalmente si sono espresse in termini più critici contro questi referendum. Che qualcosa in questo campo possa essere riformato è accettabile dal sindacato, perché potrebbe rispondere anche agli interessi dei lavoratori. Ad esempio trovare dei sistemi capaci di accelerare la definizione dei contenziosi in caso di licenziamento, e quindi non dover più aspettare per mesi e anni la pronuncia di un giudice come avviene oggi, va a vantaggio sia dell'azienda che del lavoratore. Il sindacato si è più volte dichiarato disponibile ad affrontare questa discussione. Ma non è certo quello che vogliono le imprese insieme a una certa parte dell'opinione pubblica e pertanto occorre accettare di misurarsi nello scontro referendario e prepararsi ad affrontarlo. Lo stesso vale per il quesito sulla trattenuta del contributo sindacale. Dato che la trattenuta può essere richiesta anche sulla base del codice civile, molti dicono che l'abrogazione della legge non farebbe comunque nessun danno. A sostegno di questa tesi si è pronunciata addirittura la Cgil nazionale, per fortuna non quelle di gran parte della periferia, tra cui quella di Varese. E' una tesi pericolosa perché accetta di subire un orientamento culturale che oggi porta all'abrogazione della legge, ma che, se non contrastato, domani porterà certamente ad un condizionamento restrittivo nell'applicazione dello stesso codice civile. Chi ha promosso questo referendum lo ha fatto per motivi dichiaratamente anti sindacali e quindi è ovvio che, qualora si trovasse la strada sgombera da resistenze, procederebbe oltre.

Come in altre province, anche a Varese Cgil, Cisl e Uil hanno costituito il Comitato per il NO a questi due referendum, lasciando piena libertà di voto ai propri iscritti sugli altri cinque. Il Comitato è aperto all'adesione di tutti i delegati sindacali ed ha lanciato un appello alle personalità della società civile perché si schierino con il sindacato in questa battaglia. Sono due documenti attorno ai quali già in questi giorni può partire la mobilitazione e l'impegno degli iscritti e degli attivisti della Fim dentro e fuori dai luoghi di lavoro.

S.M.


Il testo dell'appello costitutivo del Comitato.

COMITATO PER LE LIBERTA' ED I DIRITTI DEI LAVORATORI NO ALLA LIBERTA' DI LICENZIARE

Noi sottoscritti dirigenti e delegati di CGIL CISL UIL della provincia di Varese e della CISL del Ticino Olona abbiamo costituito un "Comitato per le libertà ed i diritti dei lavoratori".

Il nostro obiettivo è lo sviluppo di una vasta serie di iniziative che chiariscano e sensibilizzino l'opinione pubblica riguardo al vero significato dei referendum sociali proposti dai radicali.

I radicali dicono di voler raggiungere una maggiore "libertà": in realtà attaccano violentemente i diritti e le libertà delle lavoratrici e dei lavoratori e dei soggetti più deboli ed indifesi della nostra società.

Il mondo del lavoro è profondamente cambiato, tanto da configurare un "mondo dei lavori" in rapido sviluppo, dove spesso non sono cresciuti in modo eguale diritti e protezioni sociali capaci di tutelare i più deboli.

Le proposte dei referendum, in particolare quella che vorrebbe regalare alle imprese la possibilità di licenziare come quando vogliono, cancellano quella rete di norme e regole che offrono una tutela minima dei singoli lavoratori, minacciando non certo il peso e il ruolo del Sindacato, ma apertamente le libertà, la dignità e i diritti delle persone.

Una società poi dove vengono meno le regole e le norme minime di tutele per i più deboli è una società che vede pericolosamente minata la coesione sociale. Ecco perché va costruita un'ampia mobilitazione per dire NO ai referendum sociali, perché meno libertà e diritti nel lavoro vogliono dire una società meno libera per tutti.

Varese, 2 marzo 20

Ivana Brunato, Segretario generale CGIL Varese

Giuseppe Sofia, Segretario generale CISL Varese

Giovanni Pedrinelli, Segretario generale CISL Ticino O.

Marco Molteni, Segretario Generale UIL Varese

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Appello

PER LE LIBERTA' ED I DIRITTI DEI LAVORATORI NO ALLA LIBERTA' DI LICENZIARE

Noi sottoscritti, donne e uomini delle più diverse estrazioni politiche, sociali e culturali, facciamo insieme appello alle lavoratrici ed ai lavoratori, alle pensionate ed ai pensionati, a tutti i cittadini per dire NO ai referendum sociali proposti dai radicali ed in particolare a quello che, se approvato, darebbe alle imprese assoluta libertà di licenziare.

Questo referendum attacca i diritti e le libertà di chi lavora e dei soggetti più deboli ed indifesi della nostra società.

Infatti, una società dove fossero cancellate le regole minime, dove pochi possono imporre a tanti la legge dei più forti, darebbe una società meno libera e meno sicura per tutti.

Diciamo NO a questi referendum perché vogliono cancellare tutele e diritti dei singoli che sono stati conquistati in anni, con sacrifici e lotte importanti.

Sul referendum che intende abolire il versamento della quota d'iscrizione sindacale tramite la busta paga, va innanzi tutto precisato che per l'inesattezza del quesito le associazioni colpite non sono quelle sindacali dei lavoratori (a tal fine auspichiamo un chiarimento legislativo prima del voto), ma per l'intento dichiarato dai radicali e l'attacco manifesto alla libertà d'associazione va in ogni caso respinto.

Per questi motivi, ci impegniamo si da ora a sviluppare una vasta serie di iniziative che promuovono un dibattito civile nel Paese ed affermino una volta di più la cultura e la civiltà del dialogo e del rispetto di tutti, a partire dai più deboli e dai meno agiati.

Varese, 2 marzo 2000  

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Uscite "morbide" alla Duplomatic

Un passaggio difficile che non modifica la mentalita' dell'azienda

Si è conclusa con un accordo (anzi, due) la difficile vertenza che ha riguardato le due aziende Duplomatic, automazione e oleodinamica.

In particolare all'interno della produzione di torrette per torni, dove è presente la FIM, la richiesta di 19 posizioni in esubero (licenziamenti, per i non addetti ai lavori) ha trovato soluzioni che prevedono: 14 lavoratori che raggiungeranno la pensione attraverso un periodo di mobilità, 2 dimissioni, una trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time e 2 "posizioni aperte".

I lavoratori accompagnati alla pensione sono stati incentivati in modo proporzionale al tempo di permanenza in mobilità. Interessante la soluzione adottata per una posizione (il tempo parziale) dove l'azienda aveva inizialmente opposto delle resistenze a opportunità di questo tipo. Infine le posizioni aperte potranno essere coperte fino a fine anno, ma senza pressioni sui lavoratori, altrimenti decadranno automaticamente.

Questo è quanto prevede l'accordo. La vera scommessa tuttavia si giocherà nei prossimi mesi all'interno dell'azienda: il confronto sindacale ha costretto l'azienda a rendere noto il proprio piano di ristrutturazione per riportarla a una competitività

che supporta gli attuali livelli occupazionali. Non saranno quindi le enunciazioni riportate sull'accordo a garantire i lavoratori, quanto ciò che verrà effettivamente realizzato e soprattutto i risultati che verranno conseguiti sia in termini di fatturato che di equilibrio dei conti aziendali. Sarà fondamentale il ruolo di contrattazione della RSU sulle tematiche organizzative interne, temi sui quali sono previsti incontri a richiesta della RSU stessa.

La Direzione aziendale non ha però dismesso l'atteggiamento di malsopportazione di un serio confronto con il sindacato, che ha accettato solo come interlocutore puramente formale, sulle strategie aziendali. Probabilmente non ha ancora capito che l'applicazione delle strategie che richiedono una maggiore partecipazione dei lavoratori all'organizzazione produttiva è possibile solo costruendo un consenso, non certo con le forzature.

E il consenso lo si costruisce non solo pagando i prezzi occupazionali quando le cose vanno male, ma anche suddividendo i benefici quando le cose vanno bene. L'appuntamento è alla prossima puntata, con l'augurio comunque di discutere appunto dei benefici, non d'altro.

Mario Ballante

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LA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO

Dalla L. 482/68 alla L. 68/99

Nel corso degli ultimi anni, all'interno del processo di riforma federalista dello Stato sono molti gli interventi normativi che hanno introdotto novità nel mercato del lavoro.

La tendenza generale ha seguito due direttici principali riguardanti l'introduzione di forme contrattuali flessibili e diversificate e il decentramento di funzioni e compiti amministrativo-gestionali dagli enti centrali dello stato agli enti locali.

La logica sottesa a tali interventi che contemplano la messa a punto di azioni innovative rivolte al sostegno dell'occupazione ed il potenziamento dei servizi di collocamento per favorire l'incontro fra domanda e offerta, è quella di offrire ai cittadini in cerca di occupazione tutto il supporto necessario per conoscere e affrontare le possibili occasioni di lavoro.

Anche il settore del collocamento obbligatorio è stato coinvolto nel processo di riforma.

Tre sono le maggiori novità che riguardano il collocamento al lavoro di persone disabili e più in generale gli interventi rivolti ai disoccupati:

- dal 18 gennaio 2000 è entrata in vigore la Legge n° 68 del 12 marzo 1999 che riforma il collocamento obbligatorio mandando in pensione la precedente normativa L.482/68;

- dal 24 novembre 1999 la gestione degli uffici di collocamento ordinario e obbligatorio è stata assegnata alle Province mentre precedentemente era affidata agli uffici periferici del Ministero del Lavoro;

- contemporaneamente al passaggio di competenze da Stato a Province la normativa ha introdotto significative novità nei compiti e nelle modalità di gestione degli uffici di collocamento che vengono trasformati in Centri per l'impiego.

I Centri per l'impiego forniranno alle persone in cerca di occupazione dei servizi aggiuntivi. Infatti avranno al loro interno uno spazio informativo sempre disponibile dove si potranno reperire tutte le possibili offerte di lavoro, un servizio di orientamento, una attività formativa per l'apprendimento delle tecniche di ricerca attiva del lavoro ed un servizio di preselezione per la segnalazione, alle aziende che ricercano personale, di una rosa di candidati scelti tra gli iscritti con professionalità adeguata alle mansioni da ricoprire.

Il prodotto dell'azione combinata di queste tre novità , se nel futuro potrà produrre dei servizi di più elevata qualità, per ora ha determinato una situazione di particolare difficoltà di gestione delle nuove competenze ed anche dell'ordinaria amministrazione. Ma tornando alla legge di riforma del collocamento per disabili possiamo affermare che la nuova normativa è alquanto innovativa e lo si comprende già dalla lettura delle finalità. Infatti mentre la L.482/68 prevedeva il "collocamento obbligatorio" la L.68/99 si propone di "promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa dei disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato".

Viene quindi promossa la logica del "collocamento mirato" che consiste in una serie di operazioni tese al raggiungimento di un abbinamento disabile-posto di lavoro, preceduto da una valutazione delle abilità e competenze dell'invalido e delle caratteristiche delle mansioni disponibili in azienda. Inoltre, qualora sia necessario, l'ingresso in azienda può essere favorito e sostenuto dall'intervento di operatori dei servizi di inserimento lavorativo.

La logica sottesa è quindi quella dell'uomo giusto al posto giusto a cui offrire anche gli aiuti necessari al raggiungimento dell'integrazione lavorativa.

Vediamo ora in modo sintetico i contenuti della normativa mettendoli, ove possibile, a confronto con quanto precedentemente previsto dalla L.482/68.

Soggetti aventi diritto

Possono usufruire del collocamento mirato:

- persone affette da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e portatori di handicap intellettivo con invalidità superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioni per l'accertamento delle invalidità delle ASL; persone invalide del lavoro con invalidità superiore al 33% accertata dall'INAIL;

- persone non vedenti o sordomute;

- persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio.

Rispetto alla normativa precedente rimangono esclusi orfani e vedove di guerra ai quali, provvisoriamente, la legge riserva l'1% dei posti nelle aziende con un numero di dipendenti superiore a 150 unità, in attesa di specifiche norme sul loro diritto al lavoro.

Soggetti obbligati

Sono tenuti a riservare posti di lavoro per disabili i datori di lavoro privati e pubblici che abbiano un organico superiore a 14 dipendenti con il seguente numero di posti da riservare.

Numero di dipendenti e quote di riserva.

Nelle aziende da 15 a 35 dipendenti viene riservato 1 posto di lavoro, ma solo dopo aver effettuato nuove assunzioni. Da 36 a 50 dipendenti, 2 posti di lavoro. Nelle aziende con più di 50 dipendenti viene riservato il 7% dei posti di lavoro.

Sono inoltre soggetti all'obbligo di assunzione di persone disabili:

- i partiti, i sindacati, le associazioni senza scopo di lucro, per i quali il conteggio del numero di dipendenti si fa solo con riferimento al personale tecnico-esecutivo e amministrativo;

- la polizia, l'esercito e la protezione civile, per i quali l'inserimento lavorativo è previsto solo nei servizi amministrativi. Per il calcolo del numero dei dipendenti dell'azienda, dal numero totale dei dipendenti occorre escludere i seguenti soggetti:

- dirigenti;

- invalidi assunti obbligatoriamente;

- soci di cooperative;

- assunti a tempo determinato se non superiore a 9 mesi;

- assunti con contratti di formazione e lavoro;

- assunti con contratti di apprendistato;

- assunti con contratti di reinserimento;

- assunti con contratto di lavoro temporaneo;

- assunti con contratti di lavoro a domicilio.

In questo caso le novità sono due:

- la riduzione della quota di riserva dal 15% al 7%;

- l'estensione dell'obbligo alle aziende ricomprese tra i 15 e 34 dipendenti, che erano escluse dalla legislazione precedente.

L'operazione proposta consiste quindi in una riduzione significativa della percentuale dei posti riservati ai disabili, compensata da un allargamento delle aziende interessate all'obbligo.

Per le aziende tra i 15 e 35 dipendenti occorre precisare che l'obbligo scatta solo quando si verificano le seguenti condizioni:

- dopo 12 mesi da una nuova assunzione;

- contemporaneamente alla seconda nuova assunzione.

Per "nuova assunzione" si devono intendere assunzioni che aumentino l'organico, escludendo quindi quelle per sostituzione di personale.

Doveri dei soggetti obbligati

La normativa prevede che i datori di lavoro privati e pubblici che si trovino nelle condizioni che determinano l'obbligo di assunzione di disabili, debbano inviare all'ufficio di collocamento mirato un prospetto che riporti tutta una serie di dati sull'organico, tali da consentire il calcolo del numero di posti riservati ai disabili.

Il prospetto deve essere inviato una volta all'anno entro il 31 gennaio, e, solo per l'anno 2000, entro il 31 marzo.

I datori di lavoro ricompresi fra i 15 e i 35 dipendenti sono tenuti all'invio del prospetto solo quando incorrono nell'obbligo (12 mesi dopo la prima assunzione o subito dopo la seconda)

La novità introdotta dalla nuova normativa sui prospetti è relativa alla disposizione che prevede la descrizione delle mansioni nelle quali l'azienda intende inserire le persone disabili.

Tali informazioni sulle mansioni disponibili saranno determinanti per poter gestire gli invii con il criterio del collocamento mirato.

Un altro elemento di novità circa i prospetti é che sono stati resi pubblici e sarà possibile consultarli presso gli uffici di collocamento mirato dove saranno disponibili anche gli elenchi delle persone iscritte.

I datori di lavoro interessati hanno inoltre l'obbligo di provvedere alle assunzioni necessarie al completamento della quota di posti da riservare. Per completare le assunzioni necessarie, senza incorrere nelle sanzioni previste, la legge consente un periodo di 60 giorni dalla data di inoltro del prospetto.

I datori di lavoro hanno anche la possibilità di chiedere all'ufficio di collocamento mirato della provincia la stipula di una convenzione per programmare gli inserimenti e per poter usufruire di alcune facilitazioni come vedremo più avanti.

Sanzioni

Nel caso di inadempienza agli obblighi scattano delle cospicue sanzioni:

- ritardato invio del prospetto: Lit. 1.000.000= più Lit. 50.000= per ogni giorno di ritardo;- mancato assolvimento dell'obbligo per ragioni imputabili al datore di lavoro: Lit. 100.000= al giorno per ogni posto scomparso

In questo caso la novità fondamentale è l'ammontare delle sanzioni che nella legge precedente erano così irrisorie da non costituire un elemento di deterrenza all'elusione dall'obbligo.

Facoltà dei soggetti obbligati

Le aziende pubbliche e private soggette all'obbligo hanno la possibilità di avvalersi di alcune facoltà che la legge prevede allo scopo di favorire un'accettazione più ampia delle persone disabili ed un loro ingresso in azienda facilitato da una serie di provvedimenti di sostegno.

Le più importanti sono le seguenti:

- Possibilità di richiesta nominativa del disabile da inserire nelle seguenti quote:

15 – 35 dipendenti: sempre;

36 – 50 dipendenti: 1 assunzione nominativa e 1 numerica;

superiore a 50 dipendenti: 60% assunzioni nominative, 40% numeriche.

- Possibilità di accedere ad agevolazioni economiche nel caso di assunzione di soggetti con disabilità marcate:

- fiscalizzazione totale dei contributi previdenziali e assistenziali fino a 8 anni in caso di assunzione di persone con invalidità a partire dall'80%;

- fiscalizzazione del 50% dei contributi previdenziali e assistenziali per 5 anni in caso di assunzione di persone con invalidità compresa tra il 67% ed il 79%;

- possibilità di avere un contributo forfetario per le spese di adattamento del posto di lavoro nel caso di assunzione di persone con invalidità superiore al 50%;

E' inoltre facoltà dell'azienda richiedere all'ufficio di collocamento mirato la stipula di apposite convenzioni finalizzate all'inserimento lavorativo che possono contenere diverse facilitazioni:

- un programma di graduale assolvimento dell'obbligo;

- estensione della richiesta nominativa;

- svolgimento di tirocini finalizzati all'assunzione o alla formazione;

- assunzioni con contratto a termine;

- ampliamento dei periodi di prova previsti dai CCNL;

- agevolazioni economiche.

Nel caso di inserimento di soggetti con particolari caratteristiche e difficoltà nella convenzione possono essere previste anche:

- deroghe ai limiti di età e durata dei contratti di formazione e lavoro e di apprendistato;

- forme di sostegno, consulenza e tutoraggio da parte di servizi specialistici;

- ulteriori agevolazioni economiche.

Inoltre le aziende che abbiano lavo-

razioni pericolose, pesanti o particolari possono fare richiesta di esonero parziale dall'obbligo.

L'ufficio competente, verificato quanto dichiarato dall'azienda, può quindi autorizzare una riduzione dei posti riservati ai disabili sino ad una quota massima del 60%. In tal caso le aziende dovranno versare ad un apposito conto Lit. 25.000= al giorno per ogni posto per il quale abbiano ottenuto l'esonero.

Considerazioni finali

La legge di riforma di cui abbiamo presentato solo i contenuti principali può essere ritenuta una norma sufficientemente valida in quanto raccoglie e fa propri molti concetti e strumenti delle esperienze più importanti e innovative di gestione dell'inserimento lavorativo di disabili sperimentate negli ultimi decenni.

Quello che propone è un modello di gestione semiconsensuale nel quale le aziende da un lato possono operare in autonomia alcune scelte (vedi la scelta nominativa del 60% dei disabili) e avvalersi di incentivi e forme diversificate di collocazione lavorativa (tirocini, tempi determinati, part-time, telelavoro, ecc.), ma dall'altro sono sottoposte a vincoli temporali e sanzioni che nella legge precedente non erano previste in misura sufficiente.

Altro elemento qualificante è il ruolo assegnato ai servizi di formazione professionale e di inserimento lavorativo per favorire percorsi di qualificazione, riqualificazione e di integrazione lavorativa assistita per la gestione delle situazioni più complesse. Per la realizzazione di quest'ultimo obiettivo sarà necessario potenziare i servizi coinvolti, destinando risorse che però alla luce delle attuali scelte in campo sociale non sembrano essere facilmente reperibili.

In sostanza ci si trova di fronte ad una legge con luci e ombre che pone una sfida molto alta a tutti i servizi coinvolti dalle varie procedure previste dalla normativa, a partire dagli uffici delle province, che dovranno occuparsi della gestione di un sistema di collocamento significativamente articolato e complesso per il cui funzionamento dovranno essere messe a punto prassi e professionalità innovative, che richiederanno tempi e impegno per essere messe a regime e produrre i risultati desiderati.

M.Ballante

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IL GRUPPO DI LAVORO CISL LOMBARDIA

Inserimento Lavorativo dei disabili

Il gruppo opera da circa un anno ed è composto da operatori del settore e rappresentanti "orizzontali" della Cisl.

Ha steso la pubblicazione di un opuscolo sintetico e documentato che riassume la situazione e si è dato un programma di lavoro che prevede:

  • il supporto alla contrattazione con la Regione nel confronto sulle leggi regionali che integrano la 68/99,

  • la continuazione dell'informazione attraverso riunioni territoriali e mettendo a disposizione materiale divulgativo per delegati/operatori sindacali,

- la ricognizione delle situazioni territoriali per monitorare lo stato di applicazione della legge, in particolare per il trasferimento delle competenze dallo stato alla provincia,

- il sollecito agli enti preposti per un censimento delle realtà soggette ai nuovi obblighi di legge.

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E' in partenza il corso base per nuovi delegati

Quest'anno si terrà un'unica edizione

Sono state indicate le date del 17 e 18 aprile per il primo modulo di formazione, quello sulla comunicazione, all'interno dell'ormai consolidato percorso della "scuola dell'obbligo" per i delegati sindacali della FIM di Varese. Mentre nei due anni precedenti sono state organizzate due edizioni all'anno per recuperare un gap formativo passato, ora il corso è rivolto quasi esclusivamente ai nuovi delegati e quindi dovrebbe essere sufficiente una sola edizione annua.

Al più presto devono essere presentate le richieste di partecipazione, anche per valutare gli eventuali aggiustamenti sul piano organizzativo.

Invitiamo tutti i nuovi delegati a richiedere la partecipazione al proprio operatore, oppure direttamente al responsabile operativo della formazione: Mario Ballante cell. 0348-2344091.

Non perdete il treno !!!

Mario Ballante

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Ricerca sul delegato della Fim

Contrattare Si, organizzare No

La ricerca ha interessato un campione di 160 delegati della Fim provinciale su 230. E' stata presentata e dibattuta nell'ultima Convention dei delegati Fim nello scorso mese di febbraio.

Come già abbiamo accennato nel numero scorso di "Informazione Fim", la ricerca ha messo in luce la forte propensione dei delegati della Fim ad occuparsi di attività contrattuali e la difficoltà invece ad assumere una medesima iniziativa in attività organizzative.

In particolare questa diversa propensione si manifesta nella risposta a due domande sottoposte ai delegati intervistati.

La prima chiede quali attività esprimono meglio ciò che si fa in quanto delegato sindacale, la seconda chiede invece quali attività creano le maggiori difficoltà.

Riguardo alla prima domanda riportiamo il grafico con l'istogramma delle risposte. Dividendo queste ultime in tre gruppi, in ragione della loro importanza, otteniamo il quadro seguente.

I delegati della Fim nella grande maggioranza ascoltano e informano. Le altre attività che rientrano nel primo gruppo sono darsi da fare, difendere, aiutare, espressioni un po' generiche, ma che non denunciano una scarsa consapevolezza del ruolo del delegato. Infatti alla domanda successiva, quando i delegati sono chiamati ad indicare le attività che dovrebbero caratterizzare il loro ruolo, non hanno difficoltà ad elencare nel primo gruppo, accanto ad informare ed ascoltare, rappresentare, organizzare, contrattare: attività cioè con una connotazione sindacale molto più definita delle prime. Tra le attività che si fanno, quelle propriamente sindacali (rappresentare, contrattare) sono presenti nel secondo gruppo, insieme ad altre di contenuto più generico (ancora aiutare, difendere e in più mettere d'accordo).

In questo gruppo, e solo al nono posto viene inserito il contestare. Nell'elenco delle attività teoriche (quelle cioè che si dovrebbero fare), il contestare scende addirittura nel terzo gruppo e sempre in questo gruppo, fa la sua timida comparsa il fare iscritti. E' curioso comunque constatare che questa scarsa propensione a fare iscritti non derivi dalla coscienza che "altri" ci devono pensare. Quando infatti si chiede ai delegati chi deve fare gli iscritti, proponendo di scegliere tra: operatore, delegato, iscritto, servizi della Cisl, la risposta è nettamente a favore del delegato (54%).

Organizzare, fare iscritti, mobilitare e fare politica sono quindi tutte attività residuali nella pratica dei delegati intervistati.

Se anche il fare politica dovesse essere interpretato nel senso di "catturare consensi ad una causa", possiamo facilmente dedurre che il rapporto con i lavoratori, quando ha una accentuata connotazione organizzativa, o comunque quando vuole affermare in modo attivo l'immagine e gli interessi dell'organizzazione, entra solo debolmente nella pratica dei delegati della Fim.

Su questo la Convention ha ritenuto importante riflettere e ricercare degli antidoti. A lungo andare infatti lo scarso interesse dei delegati per le attività di tipo organizzativo potrebbe indebolire l'organizzazione e questo finirebbe per compromettere anche l'attività contrattuale e quindi la capacità di tutela dei lavoratori.

La Fim, in particolare, dovrà affrontare il problema del disagio, che molti delegati vivono in rapporto a queste attività, come emerge da una domanda specifica del questionario. Risulta infatti che le attività organizzative (fare iscritti, organizzare sciopero) sono anche quelle che creano il maggiore disagio, con un picco massimo rappresentato dal fare iscritti (80% su una media di disagio del 58%). Un disagio molto minore deriva invece dalle attività di ordine sindacale, sia verso l'azienda (contrattare, intervenire negli incontri), sia verso i lavoratori (rispondere su problemi), così come dalle attività legate al processo di comunicazione (coinvolgere operatore, fare comunicato, intervento in assemblea), quando non hanno una forte caratterizzazione politico/emotiva (tenere un'assemblea), o un livello alto di elaborazione o di astrazione (spiegare la linea). Non crea infine eccessive difficoltà partecipare a iniziative esterne dove viene sfatato il luogo comune della resistenza ad uscire dalla fabbrica da parte delle donne o degli impiegati. In questi ultimi casi la soglia di disagio è uguale, se non inferiore, a quella media. Ma un'altra parte dell'indagine rivela che il "cono d'ombra" sulle attività di tipo organizzativo e su quelle comunque tese a valorizzare il ruolo e l'immagine della propria organizzazione, dipende solo in parte dal "disagio". L'altra parte va cercata a monte, nei meccanismi stessi che conferiscono il mandato al delegato sindacale. Sia nell'individuazione dei delegati dei consigli di fabbrica prima, che delle rsu poi, il meccanismo dell'elezione, per scelta stessa del sindacato, è stato ed è nettamente prevalente su quello della nomina dell'organizzazione. La nomina viene vissuta solo come la parte formale e burocratica del processo, l'elezione come quella sostanziale. E' quindi abbastanza ovvio che il delegato si senta molto più vincolato, anche in termini emotivi, al mandato ricevuto dai lavoratori, che non al vincolo associativo derivante dalla nomina dell'organizzazione. E nel mandato dei lavoratori sono molto più presenti le istanze di rappresentanza immediata dei propri bisogni/interessi, che non i problemi dell'organizzazione, più legati alle esigenze derivanti dal vincolo associativo, anche se solo in forza di questi ultimi il sindacato si garantisce una propria continuità e quindi, in ultima analisi, anche la capacità nel tempo di rispondere alle prime istanze. Il ruolo dei lavoratori, rispetto a quello dell'organizzazione esterna, è ben evidenziato dalle risposte a tre domande: "chi ti ha spinto a fare il delegato", " in base a cosa vengono scelti i delegati", "per quali motivi hai accettato di fare il delegato".

Nel primo caso il ruolo dei lavoratori è preponderante, con il 41% delle risposte, seguito rispettivamente dai propri convincimenti (28%) e dalla proposta de idelegati incarica (25%). Il sindacato esterno risulta decisivo solo nel 12% dei casi. Nel secondo caso il primo posto lo conquista la disponibilità a darsi da fare (25%), a pari merito con le abilità individuali. Segue il buon rapporto con i compagni di lavoro (16%). La militanza, che spesso significa anche rapporto intenso con l'organizzazione sindacale, si prende un misero 5%.

Nel terzo caso, e cioè i motivi che hanno portato alla scelta di fare il delegato, il 58% del campione indica la rappresentanza degli interessi dei lavoratori insieme alla volontà di risolvere i problemi. Un altro 33% ha visto nella scelta la possibilità di un'esperienza di crescita personale.

Sono tutte motivazioni molto positive, che emarginano in un ruolo residuale altre motivazioni di tipo più "banale" circa la scelta di fare il delegato, del tipo: non c'erano alternative, era un buon sistema per uscire dalla monotonia del lavoro, è stata una reazione a un torto dell'azienda, etc. che pure sono state proposte nel questionario. Tuttavia, come abbiamo ricordato sopra,il ruolo dell'organizzazione-associazione resta molto nell'ombra.

Pertanto deve essere impegno della Fim recuperare e ribadire con forza queste altre motivazioni in un momento successivo, tramite la formazione sindacale, contando anche sul fatto che la stragrande maggioranza dei delegati (68%) lo considera lo strumento più importante che l'organizzazione può mettere a disposizione per la crescita della loro autonomia. In questo viene valutato con un consenso maggiore dello "strumento" operatore sindacale. Senza nulla togliere comunque al giudizio positivo su questa figura, valutata soprattutto come educatore, consulente, specialista.

Sergio Moia

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Orologi del tesseramento

Da simbolo a realtà

Un bellissimo orologio marchiato Fim Cisl in premio ai delegati più impegnati a costruire l'organizzazione.

La Convention 2000 è stata anche l'occasione per iniziare a riconoscere concretamente il contributo di quei delegati che, più di altri, hanno saputo raggiungere risultati significativi per la Fim in provincia di Varese. Il regolamento definito dalla Segreteria per l'assegnazione di questo premio prevede che un orologio sia consegnato direttamente dalla Segreteria provinciale e costituisca un "premio alla carriera" per un/una delegato/a della Fim che abbia impegnato la sua presenza in azienda a favore del sindacato, conseguendovi un'affermazione significativa della Fim. Altri orologi possono essere consegnati dai responsabili di quelle zone e grandi fabbriche che hanno raggiunto l'obiettivo del tesseramento, per premiare i/le delegati/e che hanno dato il maggiore contributo a questo risultato.

Nella sua prima edizione il premio della Segreteria è stato consegnato a Nadia Santin che ha dato un contributo fondamentale ad affermare la Fim in Atea, la quarta azienda per importanza in zona Laghi. Il suo impegno è stato determinante, dal momento in cui è stata eletta delegata per la prima volta nel 1989, a portare la Fim al primo posto nella sua azienda sia per linea sindacale, che per iscritti, che in seno alla Rsu. Questo risultato è particolarmente significativo anche in considerazione della inadeguata presenza della Fim nella fascia delle aziende medie, dove si colloca appunto l'Atea.

Le due strutture della Fim provinciale che hanno raggiunto l'obiettivo di tesseramento nel 1999 sono state la zona di Busto Arsizio e la Whirlpool.

Per la zona di Busto, Mario Ballante ha consegnato il premio a Vito Cuccovillo, delegato sindacale della Rodolfo Comerio. Mario, pur riconoscendo che il risultato raggiunto dalla propria zona è stato frutto soprattutto di un lavoro collettivo, ha affermato che la presenza di un delegato portatore di valori e costruttore di organizzazione, quale è Vito, ha consentito alla FIM di aumentare in modo significativo la propria rappresentanza alla Comerio, in particolare tra i giovani da poco entrati, nonostante Vito sia prossimo alla pensione, trasmettendo una passione per il sindacato che senz'altro resterà anche dopo il suo ritiro.

Per la Whirlpool il premio è stato consegnato da Antonio Vassallo a Michele Vulcano, per la tenacia con cui a saputo prima imporsi come delegato della Fim e poi trascinare tutto il collettivo della Whirlpool a conseguire un risultato organizzativo eccezionale nella propria azienda.

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Le dichiarazioni dei "premiati"

Vito ha voluto commentare il premio al palco della Convention. Ha spiegato che, fin da quando ha cominciato a lavorare è stato convinto della necessità di creare un dialogo su basi paritarie e dignitose nei confronti dei suoi datori di lavoro e che quest'obiettivo si potesse raggiungere solo con l'adesione al sindacato e in particolare con l'adesione alla CISL (della quale dice di essere sempre stato "innamorato"). Ha affermato di essersi sempre sentito difeso e tutelato dal sindacato, anche nei momenti peggiori e per questo motivo non si è mai stancato di chiedere ai suoi compagni di associarsi, convinto di offrire un ottimo consiglio.

Ha concluso dicendosi convinto di quanto sia importante che ogni persona che vive nella fabbrica porti avanti con coerenza il messaggio in cui crede e, alla luce della sua esperienza, si è detto convinto che esprimere con coerenza e senza reticenze le proprie convinzioni paghi per sé e per gli altri.

Nadia, con la ritrosia che la caratterizza nei momenti pubblici, soprattutto quando è al centro dell'attenzione, si è astenuta dal prendere la parola alla Convention. Tuttavia "Informazione Fim" è andata a trovarla a "casa sua", in Atea, e qui non è stato difficile raccogliere un suo commento.

Essendo una delle tre persone che hanno ricevuto l'orologio alla Convention, colgo l'occasione per ringraziare la Segreteria e per sottolineare l'importanza di questa iniziativa.

Mi voglio rivolgere soprattutto ai nuovi delegati dicendo loro che, nonostante a volte sembri tutto così difficile, alla fine impegno e costanza premiano in termini di soddisfazioni personali. Non dobbiamo mai dimenticare che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può contribuire molto perché l'organizzazione migliori e risponda al meglio alle esigenze delle persone che rappresentiamo.

Di Michele abbiamo infine l'intervista pubblicata alla pagina seguente. Non poteva essere diversamente, lavorando a stretto contatto con un "giornalista" esperto di storia sociale qual è Rinaldo Franzetti.

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Intervista a Michele Vulcano, delegato Fim della Whirlpool di Cassinetta premiato alla Convention della Fim.

Vivere il sindacato in modo positivo"

 

Come si fa tesseramento in Whirlpool?

Da alcuni anni c'è un grande spazio: le nuove assunzioni, in particolare negli ultimi due anni con l'entrata di centinaia di nuovi assunti, soprattutto giovani.

Questo è stato possibile grazie agli accordi sindacali che hanno introdotto flessibilità e nuovi orari di lavoro, riducendo al minino il ricorso al lavoro straordinario e trasformando i volumi in crescita in nuovi turni di lavoro, seppure a tempo parziale.

I giovani, specie se a termine, non hanno paura a tesserarsi?

All'inizio qualche timore c'era: la paura di non venire chiamati una seconda volta. Oggi questo fatto non esiste quasi più e l'adesione al sindacato è un fatto naturale. In molti casi hai di fronte ragazzi e ragazze diplomati, con un buon livello culturale e quindi diventa tutto più semplice.

Come si avvicinano al sindacato?

Non sono loro che lo fanno, ma devi essere tu che li avvicini, parli con loro, spieghi con semplicità le cose che fai, gli accordi per favorire l'occupazione, i diritti pensati e concordati per loro, la vita naturale del sindacato nella grande azienda.

Parli della Fim, della Cisl?

Nessuna difficoltà a parlare del nostro sindacato, anche quando va controcorrente. E' proprio il grande senso di libertà che abbiamo intorno, l'arma vincente. L'importante è non caricare di troppi valori l'adesione al sindacato, ma nello stesso tempo nemmeno banalizzare questo gesto.

La tua esperienza?

Sono in Fim da alcuni anni, ma ripenso con piacere il periodo iniziale e la possibilità di andare al campo scuola: ecco, la formazione resta, per me, il collante determinante per dare un senso positivo alle cose che fai tutti i giorni nella fabbrica e per il sindacato.

I risultati di questo ultimo anno sono stati per me la più grande ricompensa di questo lavoro: molte tessere (nel duemila sono oltre 100, di cui quasi 50 solo da Vulcano, ndr) che escono in modo spontaneo dalla rete di persone che fanno riferimento a me nella fabbrica. In autunno dello scorso anno, al rinnovo della Rsu, il risultato era stato molto positivo (primo tra i candidati Fim, ndr).

Ma la soddisfazione più grande è stato il riconoscimento avuto in occasione della Convention di tutti i delegati Fim, dalla Segreteria Fim di Varese: questo fatto l'ho riportato con soddisfazione tra i tesserati Fim dello Stabilimento Frigoriferi.

C'è ancora spazio in azienda?

Certo, in particolare se nei prossimi mesi verranno completati gli accordi allo stabilimento Cooking: i nuovi orari porteranno ulteriori assunzioni a tempo indeterminato, e questo può fare solo bene al tesseramento Fim.

Intervista raccolta da Rinaldo Franzetti

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A Milano patto per il lavoro concertato

Un progetto pilota locale contro la liberizzazione del lavoro dei referendum

Il problema della disoccupazione è ormai senza ombra di dubbio il problema italiano più rilevante, il più sentito fra tutti i cittadini italiani e quello la cui soluzione tarda da troppo tempo ad arrivare. Il governo Prodi cadde proprio in seguito ad una discussione, all’interno della maggioranza, sulla questione della disoccupazione, non si fece nulla allora ed ancor oggi non si è fatto niente. O quasi! Già perchè ora sembra che il problema della disoccupazione, così ostico per governi e parlamenti, venga delegato direttamente ai cittadini italiani attraverso una infima operazione referendaria. Infima perchè chi la promuove predica la liberizzazione del mercato del lavoro come soluzione al problema occupazionale curandosi di mascherare con astuzia che questa soluzione porterebbe al vero obiettivo della libertà di licenziamento senza la giusta causa, e cioè lo strumento che negherebbe a tutti i lavoratori di rivendicare i propri diritti. Lavorare e stare zitti perchè il primo che parla prende il posto del disoccupato! Per fortuna che in questo avido clima che aleggia sulle teste dei più deboli c’è qualcuno che pensa a delle soluzioni alternative: il patto per il lavoro firmato a Milano è un esempio da tenere in considerazione.

E’ un accordo che mira a ridurre la disoccupazione locale che è stato firmato in concertazione tra il comune di Milano, la provincia di Milano, le associazioni industriali e le confederazioni sindacali CISL e UIL. L’accordo è rivolto a cittadini extracomunitari in cerca di prima occupazione, a soggetti in situazioni di disagio psichico o sociale (come individuati dalle leggi vigenti), a persone con più di quaranta anni espulse dai sempre più frequenti processi di ristrutturazione, a cittadini italiani e comunitari inoccupati da più di 24 mesi o da più di 12 mesi se minori di venticinque anni.

Le persone interessate saranno individuate dallo sportello Unico di Milano Lavoro che verrà istituito mediante una collaborazione con la http://online.cisl.it/news/lavoro, e verranno inseriti di volta in volta in una serie di progetti specifici.

L’accordo prevede l’istituzione di una commissione di concertazione composta da esponenti del comune, de esponenti della provincia e da una rappresentanza paritetica delle parti sociali. Il compito della commissione di concertazione è quello di gestire l’accordo durante l’arco di quattro anni (durata dello stesso) approvando o verificando i progetti che di volta in volta saranno attuati e apportando le eventuali necessarie modifiche. Deciderà inoltre di volta in volta i modelli contrattuali più adatti da utilizzare. Le tipologie contrattualizzabili sono: i contratti di lavoro a tempo determinato, i contratti di formazione e lavoro, tirocini formativi e di orientamento, borse di lavoro e contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Tutti questi strumenti vengono utilizzati con lo scopo di dare una qualificazione professionale utile ad innalzare la qualità dell’offerta di lavoro. Infatti i lavoratori e le lavoratrici che porteranno a termine i singoli progetti acquisiranno un credito formativo che verrà segnalato per le successive assunzioni.

Il patto per il lavoro di Milano sembra essere davvero degno di attenzione quantomeno perchè promuove una soluzione innovativa nel nostro paese che risponde anche all’invito dell’Unione Europea di praticare il dialogo sociale anche in aree locali. Inoltre sembra essere una risposta sensata alle demagogiche tendenze referendarie.

Ma bisogna fare attenzione anche ad evitare che il patto per il lavoro di Milano diventi uno strumento modello che gli imprenditori possono usare per aumentare il regime di flessibilità già esistente o per discriminare i lavoratori dividendoli in lavoratori di serie A e in lavoratori di serie B.

Bisogna evitare che questo patto possa ridurre il livello della qualità media dei posti di lavoro inserendo un elemento di concorrenza al ribasso nell’offerta di lavoro.

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La formazione nell’apprendistato

vista da un sindacalista nella parte del docente

 

Intervista a Mario Ballante, responsabile della FIM in zona Busto Arsizio, che ha tenuto un corso di Diritto del Lavoro nell’ambito della formazione di un gruppo di apprendisti presso il Centro di Formazione Professionale "Ferraris" di Gallarate.

1-) Com’è strutturato il corso?

Il corso impegna i ragazzi per un giorno alla settimana durante l’arco dell’anno scolastico per un totale di 200 ore l’anno per tutta la durata del contratto di apprendistato e vi sono principalmente materie tecniche, insieme alla sicurezza e al diritto del lavoro.

2-) Quali sono stati i contenuti che più hanno interessato gli apprendisti?

Per quanto riguarda i contenuti devo dire che, a parte la scelta degli argomenti principali del programma, ho avuto autonomia assoluta di scelta nell’articolazione anche se la materia in sé, diritto del lavoro, non è certo entusiasmante. Hanno riscosso maggiore interesse i passaggi relativi alle situazioni vissute direttamente dagli allievi-lavoratori, cioè la lettura della busta paga, i provvedimenti disciplinari, ma anche il mercato del lavoro e le sue regole hanno avuto attenzioni, soprattutto per come "vendere" meglio la propria professionalità una volta acquisita.

3-) quali sono le difficoltà con cui hai dovuto fare i conti?

L’ostacolo più grosso che mi sono trovato ad affrontare è la forte disomogeneità del gruppo: non basta essere apprendisti per avere molte cose in comune, la tipologia di lavoro, pur essendo metalmeccanica, mette insieme mansioni di basso contenuto professionale ad altre come operatori di macchine utensili, meccanici d’auto con montatori di portalampade. Inoltre vi sono anche differenze

d’età, di esperienze lavorative precedenti, c’è chi lavora da due mesi e chi da parecchi anni. Probabilmente la differenza più rilevante è nell’approccio alla scuola. Chi è andato a lavorare come rifiuto della scuola ha ben poca voglia di tornare tra i banchi e scatta immediatamente il ricordo dell’esperienza precedente con tutti i comportamenti conseguenti: deresponsabilizzazione, disinteresse, la ricerca di occupare il tempo in modo diverso, l’attesa dell’intervallo e il prolungamento dello stesso; chiari segnali di un rifiuto accettato solo per "costrizione". Il bello però è che accanto a questi atteggiamenti vi è chi ha concluso il ciclo di studi professionali o della scuola media superiore ed è interessato ad approfondire le tematiche trattate, sia in riferimento alla propria condizione personale, ma anche come approccio più teorico, di comprensione delle dinamiche, dei meccanismi e delle relazioni sociali nel mondo del lavoro. Ovviamente sono anche più disponibili all’accettazione della scuola, delle regole di funzionamento, dell’attenzione in aula richiesta anche per periodi relativamente lunghi senza interruzioni continue, all’ascolto e all’intervento per chiarire o dibattere quanto spiegato. In mezzo a questi due estremi vi sono poi le gradazioni intermedie.

4-) Com’è stato il rapporto con l’organizzazione scolastica?

Il rapporto con la scuola che ha organizzato il corso è stato buono, vi è stata attenzione e disponibilità nel risolvere tutti i problemi burocratici che un’attività di collaborazione richiede e anche sulle modalità di gestione della classe si sono potuti affrontare quei piccoli/grandi problemi che si incontrano lavorando.

5-) Vi è stato un rapporto con gli altri docenti della scuola?

Il rapporto con gli altri docenti è stato sporadico ed occasionale, seppure buono, probabilmente è necessario un momento istituzionalizzato di incontro e di verifica dell’andamento del corso, anche per dare un’impronta di fondo comune e concordata alla gestione d’aula. In un momento informale sono venuto a conoscenza che i corsi di formazione professionali biennali non potranno essere considerati all’interno della riforma per l’innalzamento dell’età della scuola dell’obbligo, cosicchè potranno essere frequentati solo successivamente ritardando l’entrata al lavoro di due anni (!), questa esperienza mi è servita anche per conoscere un po’ di più del mondo della scuola che non sia solo il dibattito pubblico/privato che è riportato sui giornali.

6-) Il corso è stato organizzato con la collaborazione delle aziende?

Più che dalle aziende, dalle loro organizzazioni (Confapi, in questo caso), ma ritengo carente il ruolo svolto dalle aziende (e dai consulenti) in quanto delegano completamente e totalmente alla scuola il rapporto con gli apprendisti sulla formazione, sarebbe necessaria una adeguata presentazione del ruolo della formazione e un intreccio maggiore con l’ambito lavorativo.

Certo il legislatore non si può dire che si muova con celerità in questo campo, avendo approvato solo recentemente la legge sulla definizione e la formazione della figura del Tutor, vero anello di aggancio tra la scuola e il lavoro.

7-) Cosa ne pensano i partecipanti del sindacato?

Il sindacato è conosciuto più come "istituzione" letta sui giornali che come informazione sul ruolo che svolge e servizi che eroga, in qualche caso vi sono esperienze dirette ed è vissuto come … quello che viene alle assemblee. Sono presenti ancora molti pregiudizi a slogan: tipico quello del – sindacato che ha rovinato l’Italia -; dalla maggior parte è visto come uno sportello a cui rivolgermi in caso di bisogno.

8-) Quindi confermi le posizioni sindacali, in particolare della FIM-CISL, sull’apprendistato?

Certo, anche questa esperienza ha confermato che la strategia sindacale di contrattare un percorso di entrata nel mondo del lavoro prevedendo un periodo definito con salario progressivo, ma un percorso formativo contemporaneo è corretta. Dà l’opportunità di un minimo di crescita professionale e di acquisizione di alcune basi tecniche e sociali in particolare a chi ha abbandonato la scuola in età precoce. Il limite, come in molte strategie sindacali è che, una volta portato a casa il principio, ci si disinteressa completamente della gestione lasciandone ad altri la responsabilità del risultato finale senza avere un momento di verifica tra gli obiettivi contrattati e quanto effettivamente realizzato.

9-) Hai delle idee da proporre per migliorare?

Penso si possa lavorare molto sulle modalità di coinvolgimento, andando oltre il tradizionale metodo della relazione in aula, puntando su giochi di ruolo, simulazioni, ricerche, lavori di gruppo dove tutti possano dare il proprio diverso contributo senza esserne né frustrati né esclusi, ma questo presuppone un lavoro di sperimentazione da parte dei docenti e della scuola che è tutto da inventare.

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LE ORIGINI DEL SINDACATO IN ITALIA (1870-1900)

Al momento dell’unificazione (1870) prevale in Italia la vecchia agricoltura del latifondo e della rendita che genera miseria e analfabetismo.

La vecchia borghesia, specie agraria, rifiuta la rivoluzione industriale e usa il potere in funzione conservatrice e repressiva (il diritto di voto è monto riservato, le organizzazioni sindacali vietate).Ancora nel 1889 Crispi dichiara al Parlamento: "Io non sono tra coloro i quali credono che il governo debba avere la missione di trovare lavoro agli operai (…) non ammettiamo il falso principio che ad ogni bisogno degli operai il governo debba intervenire".

Le associazioni ammesse sono le Società operaie di mutuo soccorso. Alle prime forme associative sindacali dei tipografi, dei cappellai, dei tessili si affiancano, in alcune regioni, le leghe contadine che riescono a gestire il collocamento e molte cooperative.

Già su questi tentativi associazionistici si esercita la forte influenza di correnti ideologie: anarchiche, socialiste, cattoliche.

Gli anarchici danno voce al malessere diffuso. Alla "fratellanza" mazziniana subentra il messaggio rivoluzionario dell’esule russo Bakunin: il sindacato deve sostituirsi alle istituzioni per l’egemonia del proletariato.

Gli scioperi si fondano con i moti di ribellione e offrono il fianco alle repressioni.

Basti ricordare i moti nel parmense, i fasci siciliani (1893-94) sorti tra i contadini meridionali per la quotazione delle terre e, sul finire del secolo, le quattro giornate di Milano, dove interviene l’esercito.

Sotto l’influsso socialista le Società di mutuo soccorso passano dalla mutualità alla resistenza e (sull’esempio delle Borse del lavoro francesi) vengono raggruppate nelle Camere del lavoro istituite nel 1891. Le Camere, suddivise al loro interno in mestieri e professioni, ma curano il collocamento, la cooperazione, la formazione professionale, la tutela legale e sanitaria, ma il loro ruolo specifico è quello della rappresentanza e della guida politica che si accentua (attraverso una federazione nazionale) da parte del nuovo Partito socialista, nato nel 1892.

I cattolici, che il contrasto tra Chiesa e Stato esclude dalla vita politica, danno vita ad un movimento che si caratterizza per molteplici iniziative in vari campi.

In questa fase la loro organizzazione è rappresentata dall’Opera dei congressi dove prevale l’ala intransigente (nessuna apertura politica) di cui è simbolo don Davide Albertario, sacerdote lombardo.

In campo sindacale è forte la presenza dei cattolici nelle campagne con le loro leghe e altre opere sociali, tra cui rilevanti sono le Casse rurali che rappresentano una diga contro l’usura. La propaganda atea e anticlericale dei socialisti impedisce la confluenza nelle Camere del lavoro, cui vengono contrapposti i Segretariati del popolo.

Nel 1891 l’enciclica Rerum novarum suscita un fiorire di dibattiti e di iniziative.

Agli inizi del Novecento l’economista e sociologo Giuseppe Toniolo elabora un programma con indicazioni anticipatrici: il lavoro è un dovere che accomuna gli uomini al di là delle classi sociali, la proprietà privata è legittima se ha una funzione sociale, l’impresa è anzitutto comunità di persone, il giusto salario va integrato con la compartecipazione al capitale.

Le repressioni continuano, molte Camere del lavoro vengono chiuse, don Albertario viene arrestato. Ma nel 1890, quando il prefetto di Genova chiude la Camera del lavoro la reazione è tanto compatta da provocare la caduta del governo Saracco. Si apre emblematicamente una fase nuova annunciata dalle prime leggi sociali (lavoro delle donne e dei minori, infortuni, vecchiaia), dall’istituzione dei Probiviri (1893) per la mediazione delle controversie, dai primi passi delle libertà sindacale (Codice Zanardelli, 1891).

Questi anni, pur lontani, lasciano il segno. Il ritardo della rivoluzione industriale provoca una serie di fatti:

  • taglia fuori dell’esperienza sindacale larghe aree del paese;

  • fa oscillare le prime esperienze tra l’assistenza e la ribellione politica;

  • lega il sindacato alle ideologie e ai partiti, a scapito dell’autonomia e dell’unità;

  • impedisce il nascere di relazioni industriali anche se inserisce i problemi del lavoro in una più ampia "questione sociale";

  • rende alterna l’adesione dei lavoratori, tra momenti di rivolta e di apatia, momenti di frustrazione e momenti di solidarietà collettiva e umana.

 

  1. TRA CONTRATTAZIONE E RIVOLUZIONE (1900-15)

Il primo quindicennio del secolo è dominato dalla figura di Giolitti. La rivoluzione industriale giunge anche in Italia, ma si ferma al nord, dove sorgono i primi nuclei di una nuova borghesia industriale e del proletariato industriale. Ai contadini del sud non resta che l’emigrazione. Giolitti comprende che per dare continuità al predominio della borghesia deve dare risposte alle istanze popolari: amplia la legislazione sociale (previdenza, infortuni, invalidità, vecchiaia) e apre ai sindacati.

"persiste in molti – dirà alla Camera – la tendenza a considerare pericolose le associazioni dei lavoratori e questa è la ragione per la quale le classi lavoratrici (….) diventano ostili al governo e allo Stato. Finchè, dunque, non violano la legge devono essere rispettate (…) come legittime rappresentanze delle classi lavoratrici.".

Ora i sindacati sono associazioni di fatto, entrano nei corpi consultivi dello Stato, gestiscono la contrattazione con ampia autonomia (solo i contratti dei ferrovieri e degli enti locali sono regolati dalla legge).

Le condizioni sono favorevoli allo sviluppo del sindacato, ma pesano i condizionamenti ideologici e politici esterni.

L’estraneità dei cattolici alla vita politica rende difficile anche esercitare la rappresentanza sindacale (esclusi, ad esempio, dal Consiglio superiore del lavoro di nuova costituzione).Inoltre, ai primi del secolo, il contrasto tra intransigenti e democratici porta allo scioglimento dell’Opera dei congressi (resta la 2° sezione "sociale"). Si viene chiarendo l’inattualità delle associazioni miste (di lavoratori e datori di lavoro): Unioni e leghe diventano veri sindacati, fondati sul libero associazionismo, la contrattazione, l’uso sindacale degli scioperi, la rappresentanza dei lavoratori.

Inizialmente la loro presenza è più marcata nelle campagne, dove contrastano la proletarizzazione dei lavoratori agricoli perseguita dai socialisti, ma poi si espandono anche negli altri settori. I cattolici cercano in qualche caso un’azione comune con i socialisti, ma la divaricazione resta profonda (persino i riformisti li accusano di sistematico crumiraggio perché "in aperta antitesi con un genuino e spontaneo movimento di classe").

Ma i socialisti vivono drammaticamente la spaccatura interna al loro movimento tra massimalisti e riformisti. I riformisti, guidati da Rinaldo Rigola, sono inizialmente prevalenti e danno grande impulso alla contrattazione, si impegnano nel controllo sindacale degli scioperi, frequenti e duri, rafforzando l’organizzazione contro lo spontaneismo.

Si affermano le federazioni nelle categorie agricole e industriali. Per il loro coordinamento è istituita, nel 1906, la Confederazione generale del lavoro (Cgl).

Nello stesso anno, all’Itala di Torino i metallurgici stipulano un contratto che, anche se poco applicato, resterà emblematico: si concordano clausole di pace sindacale, si riconosce il ruolo del sindacato per il collocamento e l’organizzazione del lavoro, si introducono le trattenute sindacali, si istituisce una Commissione interna.

Ma quando, dopo il 1910, anche per il rallentamento dello sviluppo, tornano a prevalere i massimalisti , diventano più difficili i rapporti con il Psi in tema di autonomia e si torna all’azione diretta" rivoluzionaria culminata, nel 1914, nella "settimana rossa". L’uccisione di due anarchici è l’occasione per uno sciopero generale, che, specie in Romagna e nelle Marche , diventa lotta armata, sconfessata dalla stessa Cgl e repressa dal governo.

Anche questi anni lasciano il segno:

  • si cristallizza la divisione ideologica che tocca la stessa natura del sindacato, oscillante tra movimento "spontaneo" di massa e organizzazione;

  • il massimalismo e l’anarco-sindacalismo dimostrano i loro limiti politici;

  • lo scarso radicamento nei luoghi di lavoro lascia spazio a forme di rappresentanza non sindacali;

  • il rinvio alla guida politica dei partiti rende difensiva l’azione sindacale per lo sviluppo (in agricoltura, ad esempio, con l’imponibile di manodopera, un istituto prima contrattuale poi legislativo con il quale si obbligava l’azienda ad assumere, secondo la sua superficie, un certo numero di lavoratori; nell’industria con azioni tendenti ad impedire l’introduzione di macchine volte a risparmiare lavoro). Malgrado questi limiti, che rendono difficile il coordinamento dell’azione sindacale, più sviluppo e più libertà conferiscono più forza contrattuale al sindacato.

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